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HPD – HOLIDAYS: Review: Marcus Willaschek, “Kant on the Sources of Metaphysics: The Dialectic of Pure Reason” (Annapaola Varaschin)

Siamo felici di condividere con i nostri lettori la recensione di Annapaola Varaschin al volume Kant on the Sources of Metaphysics: The Dialectic of Pure Reason di Marcus Willaschek (Cambridge University Press, 2018).

La recensione è apparsa in Universa. Recensioni di Filosofia, vol. 9 n.1 (2020) ed è scaricabile in pdf a questo link.

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“In un genere delle sue conoscenze, la ragione umana ha il particolare destino di venir assediata da questioni, che essa non può respingere, poiché le sono assegnate dalla natura della ragione stessa, ma alle quali essa non può neppure dare risposta, perché oltrepassano ogni potere della ragione umana” (KrV Avii). In queste parole, che aprono la Critica della ragione pura, si mostra già la complessità della posizione assunta da Kant rispetto alla conoscenza metafisica, che nella Dialettica trascendentale della prima Critica, infatti, non verrà semplicemente confutata, ma sarà analizzata nella sua origine, legata intrinsecamente e necessariamente alla natura della nostra facoltà razionale. La ricostruzione, in tutta la sua complessità, di questo tema centrale della filosofia kantiana, definito da Marcus Willaschek “esposizione delle fonti razionali della metafisica” (abbreviato in “RS”, Rational Sources), è lo scopo del suo recente contributo. Attraverso la comprensione del rapporto tra ragione e metafisica, Willaschek offre un’interpretazione dell’intera Dialettica trascendentale della Critica della ragione pura, in grado di valorizzarne il lato costruttivo, troppo spesso sacrificato dalla letteratura secondaria in favore del suo obiettivo decostruttivo di confutazione della metafisica dogmatica. L’opera si colloca così in modo originale sulla scia della metaphysical reading di Kant inaugurata da Karl Ameriks (Ameriks 1982/2000), pur distanziandosene nelle sue conclusioni, che riconoscono anche al lato decostruttivo e critico della Dialettica la sua validità.
Il punto centrale dell’esposizione delle fonti razionali viene rilevato da Willaschek nel “rapporto tra ragione umana universale e ragione pura” (p.3), che egli chiarisce combinando tre aspetti del pensiero kantiano: in primo luogo, la tendenza della ragione pura a sollevare, a partire da domande empiriche sulla condizione del condizionato, domande metafisiche sulla condizione incondizionata (RS-1); in secondo luogo, la sua ulteriore tendenza a fornire una risposta a tali domande metafisiche (RS2); l’attribuzione, infine, di queste tendenze alla ragione umana universale, in quanto caratterizzata nella sua attività sillogistica, ordinaria e comune ad ogni uomo, da discorsività, iterazione (attraverso prosillogismi che ricercano sempre ulteriori condizioni) e bisogno di completezza, e dalla presupposizione di un realismo trascendentale (RS-3). Tale complesso argomento, che mostra come “l’ordinario impiego della ragione abbia la tendenza a condurci al suo uso speculativo” (p.44), viene rintracciato dall’autore, in gradi di specificità diversi, in tutte le quattro sezioni che compongono la Dialettica trascendentale: l’Introduzione, a cui Willaschek dedica la parte più consistente del suo lavoro (“Part I. From Reason to Metaphysics”) e dove viene individuata la struttura più generale dell’esposizione delle fonti razionali, in particolare nel passaggio da un uso logico della ragione, implicito nella ragione umana universale, a un suo uso reale in quanto pura; il Libro I, il Libro II e l’Appendice, analizzati da Willaschek nella seconda parte della sua opera (“Part II. The Other Side of Transcendental Dialectic”), dove l’esposizione delle fonti razionali trova la sua elaborazione più specifica e dove l’autore mostra come la critica alla metafisica, e il conseguente rifiuto di un realismo trascendentale, non implichi al contempo l’assunzione di un idealismo trascendentale. Attraverso quest’ultimo punto, Willaschek si propone di offrire un’interpretazione del pensiero kantiano che risulti accettabile anche agli occhi della filosofia contemporanea, in gran parte scettica rispetto all’idealismo, come da lui stesso mostrato in altri luoghi (Willaschek 2003).
La prima parte del volume, dopo un primo capitolo panoramico sulla concezione kantiana della ragione e della metafisica, è dedicata all’esame del cosiddetto “Transition Passage” (KrV A307-8/B364), dove Kant tematizza la necessaria relazione tra uso logico e uso reale della ragione. Innanzitutto, Willaschek si concentra, nel secondo capitolo, sull’uso logico, attraverso l’esame della massima logica, consistente “nel trovare, per la conoscenza condizionata dell’intelletto, l’incondizionato con cui venga completata l’unità di tale conoscenza” (ibidem). L’autore analizza questa massima mettendola in relazione con la generale concezione kantiana della logica formale e con la specifica attività sillogistica della ragione, al fine di mostrare come tale massima non abbia di per sé alcuna implicazione metafisica ma sia unicamente espressione della ragione umana universale. Willaschek mostra, inoltre, in modo originale (anticipando la trattazione dell’Appendice alla Dialettica) come un’applicazione rigorosa della massima guidi l’indagine scientifica nella costituzione di un “sistema scientifico di conoscenze” (p.65).
Il terzo capitolo è dedicato all’uso reale della ragione, guidato dal principio supremo: “se il condizionato è dato, è data altresì (cioè è contenuta nell’oggetto e nella sua connessione) l’intera serie delle condizioni subordinate le une alle altre, la quale è quindi essa stessa incondizionata” (KrV A308/B364). Willaschek spiega la valenza metafisica del principio, legato questa volta alla ragione pura, nei termini di un “condizionamento reale” (p.73) di una condizione su un condizionato (intesi ora non più come conoscenze formali ma come oggetti reali), ponendosi in dialogo con Erik Watkins (Watkins 2016) e con gli studi contemporanei sul metaphysical grounding. L’autore si sofferma poi sulle diverse accezioni attribuibili all’incondizionato, che in questo caso non va semplicemente trovato, come richiedeva la massima logica, ma è dato – cioè, secondo Willaschek, “in termini puramente ontologici […] esiste” (p.73) – e spiega il rapporto tra condizioni e incondizionato attraverso il principio di comprensione di derivazione cantoriana. L’autore mostra, inoltre, come per Kant l’introduzione di questo principio razionale abbia comportato il rifiuto di altri principi supremi della tradizione leibniziano-wolffiana, in particolare quello di ragion sufficiente.
Il quarto e il quinto capitolo della prima parte, infine, sono dedicati specificatamente alla comprensione della necessità della transizione dalla massima logica al principio supremo. Innanzitutto, Willaschek distingue due fasi di tale transizione, lasciate a suo avviso deliberatamente ambigue da Kant, che le chiarisce solo nell’Appendice alla Dialettica: in primo luogo, la massima logica, al fine di costituire un sistema scientifico, deve presupporre un uso regolativo del principio supremo; in secondo luogo, la ragione tende a confondere tale uso regolativo con un uso costitutivo del principio trascendentale. L’autore si contrappone in questo modo alla “lettura identificativa”, che sovrappone la distinzione tra regolativo e costitutivo a quella tra uso logico e reale della ragione. Egli motiva, attraverso un’accurata analisi, da una parte la necessità e la legittimità dell’uso regolativo del principio supremo, “che ci porta semplicemente a domandarci se qualcosa di incondizionato esista”, chiarendo RS-1, dall’altra la naturalità e illegittimità del suo uso costitutivo, “che sembra garantirci una risposta positiva alla domanda” (p.161), spiegando RS-2. Infatti, solo l’uso costitutivo del principio supremo, che Willaschek associa all’illusione trascendentale, in contrasto con Michelle Grier (Grier 2001), ci conduce propriamente alla speculazione metafisica, essendo espressione del realismo trascendentale che implica “una necessaria corrispondenza tra principi della ragione e principi della realtà” (p.144). Mostrando come tale assunzione sia tanto metafisica quanto comune alla ragione umana  universale, l’autore chiarisce anche RS-3 e porta così a compimento l’analisi della struttura generale dell’esposizione delle fonti razionali della metafisica.
Nella seconda parte dell’opera l’autore esamina i livelli più specifici dell’esposizione, rintracciabili nelle successive sezioni della Dialettica. Nel capitolo sesto Willaschek analizza il libro I “Sui concetti della ragione pura”, mostrando, contro l’interpretazione maggioritaria, come esso non contenga alcuna deduzione delle idee razionali, rintracciata invece dall’autore nelle necessarie inferenze dialettiche descritte da Kant nel Libro II. Al loro esame Willaschek dedica i capitoli settimo e ottavo, in cui conclude anche l’analisi dell’Appendice. Tanto nei paralogismi, quanto nelle antinomie e nell’ideale trascendentale l’autore rintraccia gli elementi costitutivi dell’esposizione delle fonti razionali della metafisica: il passaggio da un uso logico a un uso reale della ragione (RS-1), la tendenza a un uso costitutivo del supremo principio (RS-2), la presupposizione del realismo trascendentale (RS-3).
Willaschek conclude il proprio studio considerando negli ultimi capitoli il risultato negativo della Dialettica, che rifiuta il realismo trascendentale (senza con ciò portare necessariamente, secondo l’autore, all’accettazione dell’idealismo trascendentale, come abbiamo già anticipato) e non lascia spazio così alla possibilità di una conoscenza teoretica dell’incondizionato: in questo senso Willaschek dà una lettura “radicale” della limitata portata conoscitiva delle idee razionali e accenna, nel breve poscritto conclusivo, alle maggiori possibilità affidate da Kant a una “metafisica pratica” (p.270).
Kant on the Sources of Metaphysics presenta, nell’insieme, una ricerca estremamente approfondita e accurata, tanto dal punto di vista teoretico quanto dal punto di vista esegetico, su un tema centrale del pensiero kantiano eppure ancora poco battuto dalla letteratura secondaria. Il volume, offrendo la ricostruzione di una tematica che nella prima Critica appare elaborata in modo disorganico e ambiguo, si impone per questo motivo con necessità nel campo degli studi kantiani e ha il merito di aprire la filosofia di Kant al dialogo con il pensiero contemporaneo.
Proprio l’estremo rigore dell’analisi condotta da Willaschek, tuttavia, rischia di oscurare in alcuni punti lo sfondo più generale del pensiero kantiano: quando, ad esempio, l’autore si domanda perché il principio supremo sia valido solo per le cose in sé e non per i fenomeni ed elabora diversi raffinati argomenti che possano giustificare tale limitazione, lasciando infine la questione (tutt’altro che secondaria) irrisolta (pp.152-156), pare non considerare il più generale divieto kantiano di un uso costitutivo del principio supremo, da lui stesso ampiamente analizzato nelle pagine precedenti, dove sembra già fornire una risposta al problema: “all’interno della serie delle condizioni che partono dai fenomeni non possiamo mai arrivare a qualcosa di incondizionato” (p.119). Per lo stesso motivo, inoltre, sarebbero state auspicabili delle conclusioni di più ampio respiro, che mettessero in luce i risultati guadagnati dalla ricostruzione dell’esposizione delle fonti razionali per l’interpretazione complessiva della filosofia trascendentale: nella “tragica posizione” della ragione umana, che pone domande a cui non può rispondere, Willaschek riconosce invece in ultima analisi una mera condizione negativa, data l’impossibilità di una conoscenza teoretica dell’incondizionato, senza soffermarsi sulla positività che l’intrinseco rapporto tra ragione e metafisica, messo in luce dal suo studio, pure mostra.
Questi rilievi non intaccano, tuttavia, la validità e l’acume della ricerca, che costituisce un’originale interpretazione della Dialettica trascendentale nella sua interezza e che risulta indispensabile per chi voglia approfondire il suo inedito lato costruttivo, nonché stimolante per chi sia interessato in genere alle questioni metafisiche. Il valore del contributo di Willaschek va riconosciuto, infatti, anche nella sua capacità di mostrare come la Critica della ragione pura tenti di rispondere a una domanda tanto semplice quanto  fondamentale: perché la metafisica sia per l’uomo una predisposizione naturale.

 

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