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Classical german philosophy. University of Padova research group

Francesca Menegoni: Per Claudio Cesa

Il 21 novembre 2014 è venuto a mancare Claudio Cesa, figura di straordinario rilievo nel panorama filosofico italiano. Il Professor Cesa è stato modello e punto di riferimento per generazioni di studiosi, più e meno giovani, specialmente per quanto riguarda gli studi sulla filosofia classica tedesca. Siamo pertanto onorati di pubblicare il contributo che la Prof.ssa Francesca Menegoni ha scritto per hegelpd in ricordo del celebre studioso. (Il testo, in versione .PDF, è scaricabile al seguente link)

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Per Claudio Cesa

Il 21 novembre 2014 si è spento a Siena Claudio Cesa, professore emerito della Scuola Normale Superiore di Pisa. La notizia della sua scomparsa improvvisa, subito diffusa grazie alla sollecitudine dei familiari, ha lasciato attoniti quanti lo conoscevano. Nato a Novara nel 1928 e giunto alle soglie del suo ottantaseiesimo compleanno, Cesa stupiva chi aveva il privilegio di ascoltarlo non solo per l’enorme cultura filosofica che traspariva dalle sue lezioni, ma anche e soprattutto per la vivacità intellettuale e la vigilanza critica con cui presentava le sue interpretazioni, con una sobrietà che faceva risaltare il carattere innovativo delle linee teoriche proposte. Sembrava che, con il passare degli anni, la sua lucidità e le sue energie, lungi dal declinare, avessero acquistato in essenzialità. Né era andato scemando negli anni, anche dopo aver lasciato l’insegnamento, il suo impegno nei confronti di quanti, giovani e meno giovani, gli si rivolgevano per un consiglio, che non mancava mai. Chi non lo ricorda ascoltare con la stessa attenta concentrazione il giovane ricercatore che gli esponeva i suoi dubbi o il collega maturo che gli si rivolgeva per un parere? Quella stessa attenzione traspariva nella sua corrispondenza, sempre controllata nella scelta delle espressioni, di volta in volta severe o affettuose, vergate con l’immutata grafia minuta e regolare, che era lo specchio del suo essere. Chi non ricorda i suoi rilievi, tanto puntuali e rigorosi quanto proposti con un riguardo che faceva di lui, questo sì, un gentiluomo d’altri tempi? E’ difficile accettare il fatto che Claudio Cesa non ci sia più: un fondamentale punto di riferimento della cultura filosofica italiana è venuto meno e ci troviamo tutti un po’ spaesati.
Sulla lezione metodologica di Claudio Cesa si sono formate intere generazioni di studiosi. Ci sono gli allievi diretti, a cominciare da Carla De Pascale, Angelica Nuzzo, Luca Fonnesu. Ma ci sono anche i moltissimi altri che hanno trovato in Claudio Cesa un interlocutore sempre attento e disponibile, prodigo di informazioni, di suggerimenti e di apprezzamenti, generoso come pochi nell’incoraggiare i giovani che si rivolgevano a lui con un misto di timore e venerazione e trovavano in cambio indicazioni concrete e parole amicali, il tutto tenuto sotto controllo da una garbata ironia.
Il vuoto lasciato è avvertito tanto più da chi in Italia si occupa di filosofia classica tedesca, un settore che, dopo la scomparsa di Valerio Verra, aveva in Claudio Cesa il suo referente principale. Con Verra, suo coetaneo e amico fraterno, come lui piemontese, Cesa condivideva non solo un progetto culturale volto a tutelare la qualità della ricerca filosofica italiana, ma anche il medesimo stile sobrio e disadorno. A Verra, all’indomani della sua morte, Cesa aveva dedicato pagine colme di ammirazione nella rivista “Studi kantiani” (2001), delineando la figura dello studioso capace di svolgere una ineliminabile funzione di riferimento sul piano nazionale e internazionale e lodandone, tra l’altro, la capacità di autocontrollo, che lo faceva quasi sparire dietro ciò che scriveva: questa attenzione per la “cosa stessa” era un altro tratto che li accomunava.
Un aspetto della personalità di Cesa testimoniato da tutti coloro che hanno avuto la possibilità di conoscerlo era la sua generosità. Anch’io ebbi la fortuna di sperimentarla a più riprese, non solo per l’attenzione dedicata ai miei primi lavori, ma soprattutto quando, dopo la scomparsa di Verra nel 2001, fui chiamata a far parte del Consiglio di Presidenza della Internationale Hegel-Vereinigung. Nelle non poche occasioni in cui, a fronte del mio sentimento di inadeguatezza, gli confessavo che avrei desiderato lasciare ad altri l’onore e l’onere dell’incarico, non mancava mai di incoraggiarmi, appoggiandomi incondizionatamente in tutti gli incontri della Società, ma lasciandomi al contempo piena autonomia nelle scelte da compiere nella mia funzione.
Agli storici della filosofia e del pensiero politico è demandato il compito di ricostruire il suo percorso filosofico e non c’è motivo di dubitare che ciò avverrà presto e bene. Gli allievi ne ricorderanno il magistero e i collaboratori le molteplici iniziative editoriali compiute e in corso. In questa sede mi sia consentito sottolineare, a vantaggio dei più giovani che non hanno avuto modo di conoscerlo direttamente, ma che continuano a studiare i suoi testi, il suo impegno per la filosofia italiana con preziose edizioni di testi e traduzioni e un lavoro di ricerca puntuale e minuzioso, in cui l’acribia della contestualizzazione storica costituiva solo la premessa e lo sfondo per la prospettiva teorica, sempre collocata a un livello che andava oltre la ricostruzione del pensiero del singolo autore o di una sua fase particolare, per evidenziare ogni volta quelle coordinate universali che consentono di attraversare e collegare epoche e generazioni.
La statura e lo spessore dello studioso emergono solo a scorrere la bibliografia dei suoi scritti, opportunamente curata una decina di anni fa da Carla De Pascale e Alessandro Savorelli (Claudio Cesa: bibliografia degli scritti (1959-2002), in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, Classe di Lettere e Filosofia, vol. VI, 2, Pisa 2001, pp. 351-408). E’ un repertorio di oltre cinquanta pagine che raccoglie ben 644 titoli di volumi, traduzioni, saggi, curatele, recensioni e rassegne bibliografiche spesso anonime o solo siglate, editi a cominciare dal 1950: ne merge il ritratto di un filosofo e un uomo di cultura informato e aggiornatissimo. Le sue traduzioni e i suoi studi su Feuerbach e la sinistra hegeliana (Il giovane Feuerbach 1963, Studi sulla sinistra hegeliana 1972, Scritti filosofici 1976, Introduzione a Feuerbach 1978) sono diventati dei classici, tanto quanto la sua revisione della traduzione di Arturo Moni della Scienza della logica di Hegel (1968), il suo Hegel filosofo politico (1976) o J.G. Fichte e l’idealismo trascendentale (1992) e l’Introduzione a Fichte (1994). A partire dagli anni Ottanta l’interesse per la filosofia politica si era andato allargando all’intera filosofia pratica dell’idealismo tedesco, là dove sono più rilevanti le differenze tra le posizioni di Kant, Fichte, Schelling, Hegel in merito alle relazioni tra diritto, morale individuale, istituzioni socio-politiche e religione.
Negli ultimi anni aveva accettato di raccogliere alcuni saggi già editi in volume. Qui mi limito a segnalare tre testi, che a mio parere sono tra i più interessanti per ragioni diverse. Il primo – Individuazione e libertà nel “Sistema dell’idealismo trascendentale” di Schelling (ETS, Pisa 2009) – costituisce un caso singolare per le vicende che ne accompagnarono la diffusione. Si tratta infatti di un saggio redatto nel 1968 per il “Giornale critico della filosofia italiana” (pp. 101-135), circolato subito in forma di estratto e ampiamente citato in letteratura, ma di fatto mai pubblicato per una serie singolare di sviste ricordate dall’Autore con il consueto divertito distacco.
Il secondo testo, intitolato Le astuzie della ragione. Ideologie e filosofie della storia nel XIX secolo (Aragno, Torino 2008), raccoglie saggi editi tra il 1985 e il 1990 e tratta la questione del nesso tra filosofia, storia e filosofia della storia con implicazioni che toccano il pensiero politico, la sociologia e la religione. Tra la fine del Settecento e i primi decenni dell’Ottocento il tema della filosofia della storia o della storia universale è sì tra i più trattati, ma è difficile orientarsi in un contesto in cui le influenze reciproche sono continue e non sempre chiaramente distinguibili. Anche in questo caso è una precisa scelta metodologica quella che consente a Cesa di non perdersi nella molteplicità delle singole posizioni, individuando due modelli di storia universale, quello morale e quello giuridico o cosmopolitico, che hanno entrambi in Kant il loro padre. Di qui è possibile misurare la distanza rispetto a Kant delle vie percorse da Fichte, Schelling e Hegel e cogliere un fenomeno culturale nel suo insieme, senza tuttavia perdere le differenze delle singole posizioni.
Il terzo volume che desidero ricordare è Verso l’eticità. Saggi di storia della filosofia (a cura di Carla De Pascale, Luca Fonnesu e Alessandro Savorelli, Scuola Normale Superiore di Pisa 2013). Verso l’eticità è forse la raccolta che, ancor più di altre, consente di cogliere il filo conduttore che ha guidato la pluridecennale attività pubblicistica di Claudio Cesa sulla filosofia pratica nell’ambito della filosofia classica tedesca e, in particolare, sui concetti di diritto, moralità, eticità, comunità e Stato, sulla molteplicità dei loro significati e delle loro funzioni sistematiche, sulla loro collocazione in un quadro d’insieme, definito di volta in volta sul piano storico e teorico, a conferma del doppio registro che è peculiare di tutti i suoi scritti. Sono studi che mettono in luce la radicale revisione della filosofia kantiana operata da Fichte, Schelling e Hegel, tutti tesi, per vie diverse, a una fondazione della soggettività. E’ il tema che Cesa scelse di affrontare in uno dei più riusciti congressi dell’Internationale Hegel-Vereinigung nel 1981 a Stoccarda, un congresso che vide la partecipazione, tra gli altri, di personalità quali H.-G. Gadamer, D. Henrich, R. Spaemann, J. Habermas, R. Bubner, L. Siep, J.N. Findley, R. Rorty, W. Quine, D. Davidson, H. Putnam. Cesa sostenne che la filosofia morale è l’ambito in cui le differenze tra Fichte da un lato e Hegel e Schelling dall’altro sono più profonde, pur essendo tutti parimenti accomunati dall’esigenza di superare il formalismo dell’etica kantiana e di fondare la soggettività (C. Cesa, Die Krise der Moralphilosophie, in Stuttgarter Hegel-Kongreß 1981. Kant oder Hegel? Über Formen der Begründung in der Philosophie, hrsg. von D. Henrich, Klett-Cotta, Stuttgart 1983, pp. 176-185). Sul tema della soggettività Cesa ritornò a più riprese, per affermare ad esempio tra l’altro con una tesi controcorrente, che l’elemento essenziale della soggettività in Hegel è l’interiorità, un’interiorità che ha le sue radici in sfere diverse da quelle dello spirito oggettivo (cfr. C. Cesa, Considerazioni provvisorie sulla soggettività hegeliana. Posizione o crisi? in La crisi del soggetto nel pensiero contemporaneo, a cura di A. Bruno, FrancoAngeli, Milano 1988, pp. 13-41).
Al di là del fascino della lettura puntuale proposta dei principali esponenti della filosofia classica tedesca, ciò che più conta nel quadro delineato da Claudio Cesa è l’interpretazione complessiva, che riesce a collegare magistralmente le singole tessere di quel mosaico che definiamo idealismo tedesco. La ragione di questo successo va rintracciata in un’opzione di fondo esplicitata dallo stesso Cesa, il quale sostiene che, per interpretare il pensiero di Fichte, di Schelling o di Hegel, è necessario tenere presente il sistema e sforzarsi di stabilire come si sono foggiati i singoli pezzi di esso. È qui che interviene il confronto ineliminabile di ciascuno di essi, in modi diversi, con Kant.
La familiarità con le opere dei principali interpreti della filosofia classica tedesca condusse Claudio Cesa a formulare una convinzione che non smette di fornirci materia di riflessione e di discussione. Sulla scorta delle letture dei filosofi che animarono il dibattito europeo tra la fine del Settecento e gli inizi del secolo successivo, Cesa scriveva infatti che la dialettica tra le istituzioni politiche e le condizioni storiche, sociali e religiose in cui gli individui sono collocati non è sufficiente a definire il loro ruolo, aggiungendo inoltre che la conciliazione interiore del singolo con l’intero resta un compito che è affidato solo a lui, un compito dal quale esso non viene liberato né dalla storia né dalle istituzioni. Anche per questo monito gli siamo grati.

Francesca Menegoni

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