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Recensione: Eric M. Dale, “Hegel, The End of History, and the Future” (F. Campana)

Recensione: Eric M. Dale, "Hegel, The End of History, and the Future" (F. Campana)

Proponiamo la recensione al testo di Eric M. Dale, Hegel, the End of History, and the Future, scritta da Francesco Campana e apparsa nell’ultimo numero di Universa. Recensioni di filosofia. Il testo in PDF dell a recensione può essere scaricato al seguente link.

Eric M. Dale, Hegel, the End of History, and the Future, Cambridge University Press, 2014, pp. 256, $ 95.00, ISBN 9781107063020.

In Hegel, the End of History, and the Future Erich Michael Dale sottopone ad un’ampia indagine quello che definisce “the tale of Hegel’s end of history thesis” (p.2). Secondo questa fortunata tradizione interpretativa, nell’opera di Hegel vi sarebbe l’annuncio della cosiddetta fine della storia. Tale fine coinciderebbe con l’avvenuto raggiungimento, da parte dell’essere umano, della libertà per mezzo di una rivoluzione di tipo politico (con Napoleone, come incarnazione delle istanze della Rivoluzione del 1789) e di una di tipo filosofico (con il pensiero dello stesso Hegel, soprattutto come autore della Fenomenologia dello spirito). Il volume si pone il problema di capire i caratteri di tale tesi, le sue origini, le riprese e le potenzialità; al fondo, il problema principale è quello di fare luce su quale sia il contributo propriamente hegeliano nella costituzione di questa tematica e quanto, invece, sia dovuto alle interpretazioni successive, spesso fuorvianti rispetto al dettato originale.

In uno stile argomentativo chiaro ed elegante, volto ad evitare qualsiasi tipo di timore reverenziale nell’affrontare le problematiche (di qui la scelta di tradurre i vocaboli della terminologia filosofica evitando l’utilizzo della lettera maiuscola), il volume, dopo le pagine introduttive in cui si pongono i termini della questione e si anticipano diverse conclusioni, si articola in due parti principali: la prima, intitolata Hegel and the end of history, si propone di dimostrare come alcune celebri interpretazioni della filosofia della storia hegeliana siano alla base del mito della fine della storia, così come è giunto fino ai giorni nostri; la seconda, Hegel and the philosophy of history, cerca invece di definire, attraverso una sua contestualizzazione e l’analisi di alcuni motivi centrali, quali siano i caratteri propri della filosofia della storia in Hegel, nel tentativo di farla venire alla luce nella sua autenticità.

 La prima parte è aperta da un capitolo, intitolato The end of history as a question and a problem, in cui l’A. parte dal presupposto secondo il quale nei testi hegeliani non vi è una vera e propria tesi sulla fine della storia (“Hegel has no end thesis in his work”, p.14), nel senso che non è rintracciabile un’argomentazione volta a stabilire un punto conclusivo di unatraiettoria lineare e conchiusa che avrebbe precluso qualsiasi sviluppo futuro oltre l’epoca e la filosofia di Hegel. Viene esposto perciò un quadro della fortuna dell’immagine e vengono individuate due ragioni di fondo, che hanno portato al consolidamento di tale motivo. La prima, di carattere più filosofico, riguarda gli autori che, pur nell’ammissione della mancanza di un pronunciamento hegeliano esplicito in tal senso, hanno visto nel pensiero di Hegel una fine della storia perché la consideravano un esito inevitabile del suo impianto filosofico (Nietzsche e Engels); la seconda ragione, di tipo meno filosofico – e in alcuni casi non riconducibile a Hegel – è propria di interpreti che hanno proclamato la fine della storia, in quanto parte necessaria del discorso politico che hanno sostenuto (tra gli altri, Kojève e Fukuyama, alla proposta del quale sono dedicate le ultime pagine del capitolo)

 Le interpretazioni di Nietzsche e Engels sono oggetto dei due capitoli successivi (Hegel and Nietzsche e Hegel and Engels).

 La trattazione del pensiero di Nietzsche parte da un’accurata analisi dei suoi punti di riferimento per ciò che concerne la trattazione della storia (Schopenhauer, Burckhardt) e delle fonti, perlopiù indirette, attraverso le quali egli affronta il pensiero hegeliano (Eduard von Hartmann). Criticando il trionfalismo ottimistico della cultura e della politica del secondo Reich, Nietzsche individua nel pensiero hegeliano l’origine di un autocompiacimento della propria epoca, che comprende se stessa come culmine ultimo della storia.

 L’interpretazione di Engels, invece, viene presentata nei suoi diversi momenti, dai saggi sulla critica schellinghiana a Hegel fino al sodalizio con Marx. Engels intende preservare la natura progressiva, aperta e quindi rivoluzionaria del metodo dialettico hegeliano, rispetto all’esigenza di produrre un sistema completo e chiuso; l’esito di una chiusura del sistema viene dedotto da Engels a partire dall’impostazione generale della filosofia hegeliana e viene identificato nei termini di una fine, anche dal punto di vista storico.

 Più che una deduzione, la tesi della fine della storia diventa un fatto comprovato nell’interpretazione più influente del XX secolo, quella di Kojève, cui è dedicato l’ultimo capitolo della prima parte (Hegel and Kojève). Questi basa la propria lettura sull’identificazione, fornita alla fine della Fenomenologia, di tempo e concetto, suggerendo che, nel momento in cui il concetto è pienamente realizzato, allora anche il tempo e la storia sono giunti al loro compimento. Con una suggestiva analisi che si discosta dalla lettera hegeliana e che rivela la forte componente marxista, Kojève delinea l’intero processo storico nei termini della dialettica servo-padrone, proiettando così sull’intero cammino fenomenologico quello che è solo un suo tratto particolare; quindi, trova nell’autorealizzazione della libertà del servo e nella sua vittoria sul padrone la fine dello sviluppo storico.

La seconda parte del libro, dedicata all’approfondimento della vera e propria filosofia della storia di Hegel, è introdotta da due capitoli che intendono fornire il contesto in cui si inserisce la riflessione hegeliana e sono dedicati rispettivamente alla filosofia della storia di Herder (Herder and history) e a quella di Fichte (Fichte and history).

 La filosofia della storia di Herder rappresenta un tentativo di vedere nel particolare la chiave per la comprensione della storia. Pur nel riconoscimento di un certo disegno generale, Herder si oppone a tutte le concezioni monolitiche, di stampo illuminista, convinte di poter cogliere un senso univoco del processo storico nella sua totalità, a favore del riconoscimento della varietà e dell’autonoma specificità delle culture, dei popoli e dei loro singoli punti di vista. Quello di Fichte, invece, è un pensiero che vede nella storia un principio filosofico, un piano universale a priori, che il filosofo, con i mezzi del trascendentale, è in grado di leggere e da cui vengono dedotti, a posteriori, i fatti contingenti. Mentre quella di Herder è una concezione della storia aperta e che concepisce il futuro come indecifrabile, quella di Fichte non prevede una fine della storia, ma neppure nulla di nuovo rispetto ai principi su cui essa si fonda.

 Gli ultimi tre capitoli del volume, infine, sono dedicati alla discussione di alcune tematiche di rilievo del pensiero hegeliano sulla storia.

 Nel settimo capitolo, Hegel and history, vengono delineati i caratteri generali del ragionamento hegeliano, a partire dalla posizione che esso assume rispetto a quelle di Herder e Fichte. Ciò che identifica il pensiero di Hegel è l’attenzione (herderiana) riposta negli eventi concreti della storia e il fatto che l’indagine filosofica non possa imporre un disegno preordinato; allo stesso tempo, però, lo scopo principale di tale speculazione è quello di eliminare la contingenza e di far emergere la necessità della ragione, ovvero quello di rintracciare (fichtianamente) il recondito movimento generale della storia, non presupponendolo tuttavia come dato e non descrivendolo malgrado gli eventi specifici, ma proprio grazie a loro e attraverso di loro. L’A. analizza quindi la celebre frase “ciò che è razionale, è reale; e ciò che è reale è razionale”, insistendo sul nesso tra necessità e realtà (nel senso di Wirklichkeit) e mostrando come tale frase intenda descrivere la necessaria logica interna allo spirito che porta a effettualità ciò che è razionale, ovvero la libertà umana. Viene quindi esaminata a fondo la metafora geografica secondo la quale il sorgere della storia sarebbe da porre ad Est e il suo compimento a Ovest. Tale metafora è di particolare rilevanza, anche perché l’A. rinviene a questo livello la fonte, di fatto hegeliana, per la tesi sulla fine della storia, poiché è proprio a proposito dell’Occidente che nelle Lezioni sulla filosofia della storia si parla esplicitamente di “Ende der Weltgeschichte”. Tuttavia, oltre a segnalare i limiti della metafora geografica rispetto alle ipotesi hegeliane di rintracciare un possibile ulteriore sviluppo verso la libertà nelle Americhe e in Russia, viene fatto notare come una comprensione adeguata dei concetti di ‘spirito’ e di ‘fine’ in Hegel porti ad escludere qualsiasi appiattimento sulle interpretazioni successive della fine della storia.

 All’approfondimento di queste nozioni è dedicato il capitolo successivo, The spirit and the end. La nozione di spirito è presentata a partire dalle interpretazioni contemporanee e l’A. rileva in essa la compresenza di un aspetto filosofico- epistemologico, di un aspetto etico-sociale e di un aspetto teologico-religioso. Passa perciò a delineare le configurazioni specifiche dello spirito come percorso di conquista della vera coscienza della libertà, dagli antichi popoli dell’Oriente fino al mondo germanico moderno. Discutendo, quindi, il “linguaggio della fine” (p.198), mette a confronto il discorso sulla fine riguardante la storia e quello riguardante l’arte: il primo, per l’A., sarebbe del tutto diverso dal secondo, poiché mentre l’arte si presenta come una forma specifica nella successione sistematica delle forme dello spirito, la storia coincide con il regno stesso dello spirito e non può essere superata da nulla.

 Nel nono e ultimo capitolo, The present and the future, viene analizzato il tema dell’“astuzia della ragione”, vale a dire del movimento razionale dello spirito nella storia, il cui scopo è, secondo le leggi di una teleologia interna, immanente al processo stesso e non imposto meccanicamente dall’esterno. Viene poi preso in considerazione il rapporto tra la libertà e il male nello sviluppo della storia. Il progresso dello spirito hegeliano consiste proprio nella realizzazione della libertà e l’unica garanzia risiede nel fatto che questo processo si realizzerà, mentre come tale realizzazione avrà luogo non è dato sapersi. In questo percorso il male è inserito all’interno di una filosofia della storia concepita come teodicea, per cui la storia è sì luogo reale di sofferenze e perdite, ma la ragione è capace di fare tesoro di tali avvenimenti contingenti e di comprenderli nel quadro più generale dell’avanzamento verso la libertà (l’A. annuncia che il tema della teodicea in Hegel sarà oggetto di un suo prossimo volume). Infine, viene proposta una riflessione sulla concezione hegeliana di futuro e viene esaminata l’argomentazione, che compare a più riprese nel testo, per cui, secondo Hegel, la filosofia non può esprimersi su ciò che verrà, non è cioè profezia, ed è quindi da escludersi qualsiasi possibilità di previsione circa la fine della storia. Se, da una parte, Hegel non definisce nella propria filosofia una fine della storia, dall’altra parte, l’impossibilità di fornire un concetto conchiuso e definitivo della storia è sintomo del fallimento nel tentativo di conciliare la tensione interna al proprio pensiero tra l’elemento dialettico-conflittuale e quello speculativo, proprio di una visione della totalità. Secondo l’A., tale fallimento non è tuttavia da considerarsi crocianamente come un grave errore logico, bensì come la vera e autentica potenzialità del pensiero di Hegel.

 Per stessa dichiarazione dell’A., il testo si inserisce all’interno della recente riscoperta del pensiero hegeliano nel mondo anglofono e si colloca sul versante delle interpretazioni che tengono conto anche del suo aspetto metafisico (non in senso monistico, né trascendente), spesso in un paragone con Aristotele, riferimento molto presente nel volume. Anche nel quadro di queste interpretazioni, il lavoro denota diversi aspetti di originalità, come per esempio la grande attenzione rivolta al tema filosofico-religioso, e si pone come uno studio che rivela il suo interesse soprattutto nello schema interpretativo proposto e nella scelta degli autori e dei testi presi in considerazione.

Francesco Campana, Università degli Studi di Padova

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