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Report: Seminario prof. Diego Bubbio (Padova, 14 gennaio 2014)

Il 14 gennaio 2014 il Professor Diego Bubbio (University of Western Sydney) ha inaugurato il primo incontro del seminario “Temi e problemi della filosofia hegeliana: la filosofia dell’arte” del Corso di Dottorato in Filosofia dell’Università degli Studi di Padova. La relazione si è concentrata sulle interpretazioni ‘postkantiane’ della filosofia dell’arte hegeliana recentemente affermatesi nel dibattito anglosassone.

Proponiamo un riassunto della relazione e un breve quadro degli argomenti affrontati durante la discussione che è seguita. Al termine del resoconto, forniamo inoltre i file audio dell’intervento e il PDF dell’intera seduta con in calce anche una traccia del dibattito.

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L’estetica di Hegel nell’interpretazione ‘postkantiana’ anglosassone contemporanea

 

1. Introduzione e contestualizzazione

L’intervento si apre con una sezione introduttiva volta a delineare lo status quaestionis riguardante gli studi sull’estetica di Hegel. Al fine di apprezzare la portata di tali studi, è necessaria un’opera di contestualizzazione che offra la panoramica della più generale ‘Hegel Renaissance da alcuni decenni in atto nel mondo anglosassone. Questa ripresa del pensiero hegeliano mira a sottolinearne la rilevanza per l’attualità e sorge da un precedente ‘sdoganamento’ della filosofia kantiana avvenuto tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta. L’approccio all’elaborazione hegeliana passa dunque attraverso il filtro del rapporto di Hegel a Kant.

Due sono le due principali interpretazioni sviluppatesi nell’ambito di tale questione. Benché si articolino in proposte molto differenti, entrambe contrastano con la lettura impostasi nella prima metà del Novecento, che ravvisava in Hegel una mera regressione alla metafisica prekantiana.

Le posizioni cui si fa riferimento sono:

1. l’interpretazione revisionista o postkantiana;

2. l’interpretazione neometafisica.

Appartengono alla prima corrente autori quali Robert Pippin e Terry Pinkard, il cui tratto comune consiste nell’intendere il proposito filosofico hegeliano come il tentativo di riconciliare la dimensione universalista con quella contestualista e storicista. Secondo questa visione, per Hegel le condizioni della razionalità non sarebbero limitate soltanto alle strutture mentali formali (quali le categorie kantiane), ma includerebbero anche condizioni determinate storicamente e socialmente. Nelle letture offerte da Pippin e Pinkard, Hegel manterrebbe l’aspetto trascendentale (si avvarrebbe cioè di un approccio categoriale), ma spogliandolo della sua mera applicazione a strutture mentali universali e reinterpretandolo in termini di strutture dinamiche, storiche, mutevoli nel tempo e identificabili come ‘forme dello spirito’.

L’ulteriore mossa filosofica attuata dagli autori ora considerati è quella di purgare la speculazione hegeliana da ogni riferimento metafisico (operazione, questa, che vale all’interpretazione ‘postkantiana’ l’ulteriore dicitura di ‘interpretazione anti-metafisica’).

In contrasto con tale quadro teorico si pongono le letture prima presentate come neometafisiche. Rientrano in questo gruppo di studiosi Robert Stern, James Kreines e Kenneth Westphal, i quali condividono la tesi secondo cui l’elemento metafisico rivestirebbe un ruolo essenziale nel pensiero hegeliano. In tal senso, la filosofia di Hegel ambirebbe a identificare il carattere o la struttura del mondo in se stesso. Tale struttura includerebbe, del resto, una dimensione concettuale. Una simile descrizione fa sì che le interpretazioni neometafisiche siano anche individuate come posizioni sostenitrici di un ‘realismo concettuale’.

Per certi versi l’approccio neometafisico a Hegel è più vicino a quello tradizionale, in quanto i concetti sono presentati come interni (nel senso di ‘costruiti dentro’) alla realtà, indipendentemente dal soggetto. Tale posizione confligge con quella offerta dai postkantiani, per i quali le strutture trascendentali sarebbero parte della stessa struttura dello spirito, che si basa sulla dinamica del riconoscimento. Di conseguenza, non si può affermare che esse esistano del tutto indipendentemente dalla presenza del soggetto. La componente soggettiva acquista dunque una parte decisiva all’interno di queste letture.

Come è emerso, uno dei problemi principali, su cui gli interpreti si dividono, riguarda il senso in cui le strutture in questione appartengano sia al soggetto sia alla realtà. A tal proposito, si distinguono le posizioni di altri due studiosi, difficilmente ascrivibili a uno o l’altro dei due filoni citati: Paul Redding e Stephen Houlgate. Il primo, pur vicino ai postkantiani, afferma la necessità di pensare Hegel in continuità con Kant, evitando però di espungere dall’orizzonte hegeliano il carattere metafisico. Hegel abbraccerebbe infatti una metafisica idealista, non riconducibile alla concezione prekantiana che era per lo più incentrata sul riconoscimento di strutture concettuali indipendenti dal soggetto. Nell’ottica di Redding, la metafisica idealista di Hegel vorrebbe dar ragione di tali strutture come né del tutto indipendenti dal soggetto conoscente né completamente dipendenti da esso.

Houlgate, pur criticando la negazione dell’aspetto metafisico operata dai postkantiani, riconosce il debito di Hegel a Kant, ma lo declina in modo differente. A suo dire, infatti, la filosofia hegeliana non costituirebbe il prolungamento del progetto trascendentale kantiano. Kant stesso non sarebbe stato sufficientemente critico, poiché non avrebbe astratto abbastanza dalle condizioni attraverso cui concepiamo gli oggetti.

Houlgate è anche uno dei pochi filosofi nel mondo anglosassone a riflettere sulla filosofia dell’arte hegeliana. La penuria di studi in lingua inglese in questo settore è già denunciata nel 1986 da William Desmond, che nella sua opera Art and the Absolute: A Study of Hegel’s Aesthetics [1] fa notare come si sia costretti a risalire al volume di Jack Kaminsky del 1962 intitolato Hegel on Art [2] per reperire un contributo interamente dedicato all’estetica hegeliana. Del resto, lo stesso studio di Desmond non si concentra che su alcuni specifici problemi della filosofia dell’arte hegeliana, senza perciò fornire un commento completo di quest’ultima.

Riaprono il dibattito anglosassone su tali tematiche due recenti antologie di saggi: nel 2000 esce il volume Hegel and Aesthetics , curato da W. Maker e contenente, tra gli altri, apporti di W. Desmond, D. Kolb e S. Houlgate [3]; nel 2007 viene pubblicato Hegel and the Arts, a cura di S. Houlgate, comprendente, tra gli altri, contributi di D. Kolb, T. Pinkard, R. Pippin e di S. Houlgate stesso [4].

Degno di nota è che i rappresentanti dell’approccio neometafisico siano assenti dal dibattito sull’estetica hegeliana, ciò è comprensibile alla luce del metodo analitico utilizzato e dell’indirizzo per lo più epistemologico dei loro interessi. Gli esponenti del filone postkantiano, al contrario, uniscono un metodo storico-contestuale a un’interpretazione radicata principalmente nella nozione di ‘riconoscimento’. La teoria del riconoscimento formulerebbe la tesi per cui gli esseri umani esistono come tali solo nella misura in cui si riconoscono reciprocamente come esistenti. Detto altrimenti, la mossa hegeliana sarebbe quella di far dipendere la riflessività dell’autocoscienza (la consapevolezza di se stessi come soggetti) dal riconoscimento di altri soggetti autocoscienti. Al centro di tale visione sta dunque il tema del rapporto soggetto-mondo e della relazione dei soggetti tra loro. Il testo di Pinkard Hegel’s Phenomenology: The Sociality of Reason [5] mette in luce come la dimensione dello spirito sia risultato della rete di connessioni ricognitive intersoggettive.

R. Pippin e in particolar modo T. Pinkard hanno di recente applicato la chiave ermeneutica fornita dalla nozione di riconoscimento alla filosofia dell’arte hegeliana. Pur non trovandoci ancora in presenza di un commento sistematico ed esaustivo, in questi contributi si possono distinguere numerosi elementi interessanti, a partire dai quali può essere avviata un’analisi più ampia e dettagliata.

2. Approfondimento. Le proposte di Robert Pippin e Terry Pinkard

Alla prima parte di carattere introduttivo segue la specificazione delle posizioni interpretative di due autori: Robert Pippin e Terry Pinkard.

R. Pippin pubblica nel 2008 un saggio intitolato The Absence of Aesthetics in Hegel’s Aesthetics [6], inaugurando così l’interesse dei postkantiani verso la filosofia dell’arte hegeliana. Il titolo del contributo è motivato da una tesi di base. Secondo Pippin, Hegel non offre una teoria del giudizio estetico né si impegna a render conto dell’esperienza estetica. Nella propria esposizione del succedersi storico delle forme d’arte, Hegel concluderebbe che l’arte romantica giunge a trascendere se stessa. Risulterebbe così negato lo statuto di autonomia dell’estetica: l’arte si configurerebbe più come istituzione sociale, direttamente connessa allo sviluppo di norme e valori all’interno di una società.

Pippin sottolinea due pregi dell’approccio hegeliano:

– la messa in risalto dell’impossibilità di isolare logicamente la natura del giudizio estetico, il quale è piuttosto soggetto a cambiamenti nel tempo;

– il fornire un accesso privilegiato alla comprensione del fenomeno più rivoluzionario nella storia dell’arte: il modernismo.

L’ulteriore tesi di Pippin è che la concezione dell’arte di Hegel debba essere compresa sulla base di due aspetti fondamentali: la relazione tra il pensiero e la sensibilità nell’esperienza, e il rapporto fra l’interiorità e l’esteriorità nella teoria hegeliana del soggetto agente.

Le conclusioni cui Pippin approda in The Absence of Aesthetics in Hegel’s Aesthetics sono le seguenti:

– Hegel considera l’aspirazione al bello, caratteristica dell’arte classica, come inclusa nella più ampia aspirazione a collocare nel modo adeguato tutti gli aspetti umani in continuità con il mondo naturale e non-umano. L’arte romantica prende le mosse dalla frustrazione di tale aspirazione e testimonia sia del bisogno di esternare l’esperienza interiore sia dell’inadeguatezza di ogni forma esterna corporea. Ciò conduce l’arte romantica alla propria deriva patologica, ben rappresentata dalla figura dell’anima bella.

– Hegel interpreta il limite dell’arte romantica come una rivelazione del limite dell’arte in sé. Alla luce di ciò, la riconciliazione tra interiorità ed esteriorità non può verificarsi nell’arte, bensì all’interno della comunità religiosa e nell’autocoscienza filosofica.

– L’estetica hegeliana fornisce tutte le premesse necessarie a rendere ragione dell’arte postromantica. Il non aver saputo immaginare, da parte di Hegel, una forma postromantica di arte è appunto un fallimento dell’immaginazione, non un’esclusione della sua possibilità.

– La forma d’arte postromantica che più incontra le esigenze dell’estetica hegeliana è da rintracciarsi nel modernismo letterario (e non tanto nelle arti figurative astratte). Sono proprio i romanzi di Henry James, Marcel Proust, James Joyce, Virginia Woolf e Robert Musil a offrire una rappresentazione della soggettività umana che si articola in una complessità di relazioni di interdipendenza sociale. Poiché il realismo non è in grado di esprimere tale condizione, è necessario il darsi di una specifica forma d’arte capace di presentare punti di vista differenti, mutevoli e temporanei, senza con ciò perdere di ‘coerenza narrativa’.

– Hegel reputa che il bello non possa più incarnare un ideale estetico credibile. Per questo motivo, egli trasforma la questione del giudizio estetico. Tuttavia, l’assenza di tale aspetto può fornire validi spunti per un concetto positivo di arte riflessiva e sperimentale che si ponga oltre l’interiorità romantica.

Quasi in concomitanza con il saggio di Pippin, T. Pinkard pubblica all’interno dell’antologia Hegel and the Arts un contributo intitolato Symbolic, Classical and Romantic Art [7]. Qui Pinkard si avvicina all’estetica di Hegel attraverso la chiave del ‘paradosso kantiano’. Egli ritiene cioè che vi sia una dimensione paradossale nell’idea kantiana di autolegislazione (il vincolo del soggetto a leggi morali che esso stesso si è dato). L’intera storia dell’idealismo tedesco sarebbe secondo Pinkard un tentativo di sciogliere questo paradosso, tentativo che trova il proprio vertice nella proposta hegeliana. A differenza di Kant, per cui è la ragione individuale a porsi come origine delle norme, Hegel individuerebbe tale origine nella ragione sociale. Ciò implica l’ammissione dell’impossibilità da parte del soggetto morale, determinato storicamente e geograficamente, di rendere vincolante la legge morale, cosa che può verificarsi solo nel riconoscimento di quel vincolo ad opera di un altro soggetto. È unicamente mediante tale processo che l’essere umano diventa tale, diventa cioè libero agente morale.

Secondo Pinkard, anche l’arte identifica “un modo di riflettere collettivamente su che cosa significhi essere umani” [8]. Poiché l’arte definisce una pratica interna allo sviluppo storico dell’autorealizzazione dell’Idea, essa è essenziale per lo sviluppo narrativo del tentativo dell’uomo di comprendere se stesso. Mostrare la verità nella forma della bellezza (cioè esibire l’aspetto sensuale dell’Idea) è il ruolo specifico dell’arte. Tale compito si traduce nell’illustrazione di cosa significhi essere un soggetto cosciente, un agente spirituale nella sua manifestazione più degna.

Sulla base di tali assunti Pinkard reinterpreta la distinzione hegeliana tra arte simbolica, classica e romantica.

1) L’arte è dapprincipio simbolica, ambisce a decifrare il mistero che noi stessi siamo mediante il tentativo di ‘rappresentare l’irrappresentabile’. Il limite dell’arte simbolica consiste nella sua finitudine, vale a dire nel collocare la libertà umana in una dimensione inattingibile, oltre-umana.

2) L’arte classica raggiunge l’ideale, ma questo non è che una rappresentazione meramente estetica della libertà, incapace di esibirne il significato. Il contenuto artistico non deve essere presentato al modo di argomenti o principi, ma come qualcosa da esperire. Poiché l’arte classica non riesce in tale aspetto, essa mostra un limite nella propria autosufficienza, che non può vincere il confronto con altri soggetti che si reputino autosufficienti. Le stesse divinità sono proiezioni del bisogno umano di cogliere in cosa consista l’autentica libertà umana, ma esse sono solo idoli di pietra. La tragedia espone i conflitti tra individui liberi, i quali vivono la contraddizione di dover agire secondo leggi che non hanno creato e che tuttavia recepiscono come espressione della loro dimensione più profonda. La volontà di sfuggire a tutto questo provoca un ripiegamento in luoghi della soggettività indifferenti alle contingenze del mondo: emergono lo stoicismo, lo scetticismo, l’epicureismo e il cristianesimo.

3) È questa l’origine dell’arte romantica, che nasce come esibizione estetica del religioso ma che si slega presto da tale ambito, per sviluppare una concezione della verità dell’umanità come individualità. Pinkard ravvisa nella moderna arte drammatica l’emblema di questa dinamica.

In sostanza, la mossa interpretativa pinkardiana consiste nell’intendere l’estetica hegeliana come il primo stadio di un cammino verso l’origine della libertà umana. Nello specifico: l’arte prova a reperire tale origine in ‘individui esteticamente completi’; la religione tenta di individuarla nella relazione a una divinità esterna; la filosofia aspira a cogliere concettualmente la libertà come ‘verità speculativa’, in cui l’autodeterminazione dell’individuo e della collettività rappresenta una conquista storica e non una struttura metafisica.

3. Conclusione

La conclusione propone una valutazione delle letture considerate e suggerisce alcune piste di ricerca che si profilano come proficue.

Sebbene le letture postkantiane dell’estetica di Hegel ancora non assumano un assetto sistematico, esse offrono già stimolanti spunti di riflessione. In particolare, si suggeriscono tre possibili percorsi d’indagine.

Innanzitutto, le interpretazioni di Pippin e Pinkard hanno il pregio di mettere in risalto il ruolo che l’arte riveste, in seno al pensiero hegeliano, nella formazione di norme e ideali socialmente condivisi (tema presente fin dalla Fenomenologia).

In seconda istanza, sebbene l’attenzione che l’approccio postkantiano dedica alla sezione dello spirito assoluto sia piuttosto recente, queste letture dimostrano di avere le potenzialità per sviluppare una visione più integrata e organica dei tre momenti che la compongono (arte, religione, filosofia). In particolare, vi sono alcuni aspetti della relazione tra i primi due che vale la pena sottolineare.

L’interpretazione pinkardiana che vede l’arte romantica svincolarsi dalla religione alla volta di una concezione della verità dell’umanità più laica e secolarizzata manifesta forse dei limiti. In questa prospettiva sembra infatti che per Hegel la libertà individuale possa affermarsi solo con la secolarizzazione dell’arte. Al contrario, il percorso hegeliano pare piuttosto rimandare a un forte legame tra la libertà individuale e la dimensione cristiana dell’arte (il Dio cristiano che accetta la finitezza umana identifica la libertà moderna). Decisiva al riguardo è l’esplicita dichiarazione hegeliana secondo cui è attraverso il cristianesimo che l’idea di libertà, concepita come piena accettazione dell’alterità, ha fatto il suo ingresso del mondo.

Pippin, individuando nel modernismo letterario la forma prototipica di un’arte postromantica in senso hegeliano, mette in luce un aspetto decisivo. Sono infatti i romanzieri modernisti a dare voce al prospettivismo.

Ancora più degli interpreti postkantiani è stato Paul Redding ad aver tematizzato la natura prospettica della conoscenza, evidenziandone la centralità da Kant a Nietzsche e rilevando l’importanza dell’apporto hegeliano a tale questione.

In conclusione, un fecondo indirizzo di ricerca può essere senz’altro fornito dall’interpretazione dell’estetica di Hegel come sviluppo dello sguardo prospettico sul mondo.

Infine, un altro tema su cui l’elaborazione postkantiana ha messo l’accento (in particolare attraverso l’analisi dell’arte romantica) è il superamento del soggettivismo. Due sono infatti le chiavi interpretative che emergono con particolare vigore dall’esame dell’arte romantica e postromantica: l’idea del prospettivismo e la nozione di riconoscimento.

Il problema del superamento del soggettivismo investe tutti gli ambiti dello spirito assoluto, ma si genera specificamente nel momento in cui l’arte si fa veicolo di trasmissione della libertà cristiana, rientrando così in un’opera di creazione di norme e valori il cui fondamento consiste nel riconoscimento.

Agli autori considerati può essere rivolta una critica che si interroga sulla portata metafisica degli aspetti evidenziati. È forse riduttiva un’interpretazione atta a illustrare come mere conquiste storiche, prive di ogni elemento metafisico, le forme e i movimenti di uno spirito che avanza nell’affermazione della libertà. Paul Redding ha di recente argomentato che la metafisica idealista hegeliana ha poco a che spartire con la metafisica tradizionale. Rimanendo in questo solco, anche la nascita dell’arte romantica come conseguenza del cristianesimo assumerebbe un valore metafisico o sarebbe almeno indice del modo in cui comprendere l’idealismo di Hegel. Affermare la centralità, nell’arte moderna, di un Dio che accetta di essere affetto dalla finitezza umana, e dunque dalla parzialità di prospettiva, equivale a sostituire l’ideale di una conoscenza metafisica come ‘punto di vista onnicomprensivo’ sul mondo con un’idea di conoscenza concepita come espressione di tutti i differenti (anche contraddittori) punti di vista.

L’approccio postkantiano è stato spesso accusato di scarsa fedeltà storica e testuale, ciononostante sembra sia proprio questo filone interpretativo a spingere per una riproposizione della vitalità del pensiero hegeliano, cosa che vale anche per l’estetica e in generale per la sezione dello spirito assoluto.

Discussione: riepilogo dei temi affrontati

Gli argomenti emersi nel corso della discussione sono i seguenti.

– La possibilità o meno di trovare un corrispettivo del modernismo letterario nelle arti figurative. Se ciò fosse attuabile, allora l’interpretazione dell’estetica hegeliana offerta da Pippin potrebbe configurarsi come una teoria in grado di comprendere più ambiti e risvolti, e sarebbe dunque più appetibile.

– I problemi derivanti da un tentativo di definire cosa sia il postromantico. In particolare, si affermano letture continuiste, che mirano a proseguire il lavoro interpretativo di Hegel, dopo Hegel, e letture, come quella di Danto, che sostengono la necessità di un cambio di paradigma che porti all’ideazione di un nuovo ‘paesaggio concettuale’.

– La problematicità del non mettere in relazione arte e religione quando si voglia fornire un’interpretazione della filosofia dell’arte hegeliana. Nello specifico, sembra che la conseguenza più diretta di un approccio che non si occupi del legame tra le due sia proprio l’attribuzione dello spirito e della ragione alla sfera della socialità. Nel corso della discussione, viene suggerito che il nesso ‘arte-religione (cristiana)-realizzazione della libertà’ costituisca una chiave ermeneutica assai rilevante sia nell’offrire un quadro coerente dell’estetica hegeliana sia nel contribuire a una più approfondita comprensione della dimensione dello spirito assoluto.

– La tematica della polifonicità e del prospettivismo. Ci si è interrogati essenzialmente su due questioni. 1) Possiamo davvero affermare di essere usciti dal soggettivismo romantico? La nostra contemporaneità non mostra piuttosto che siamo ancora dentro ad una frammentazione dei punti di vista, in cui la prospettiva di una ‘voce comune’ è irrealizzabile? 2) Nel considerare gli autori del modernismo letterario, ad esempio Pirandello, possiamo davvero dire che in essi si trovi espressa l’attuazione del riconoscimento della molteplicità dei punti di vista? Non vi si legge piuttosto la questione del riconoscimento mancato?

– La (mancata?) consapevolezza, da parte degli autori considerati, degli aspetti presenti nell’elaborazione filosofica hegeliana che rimandano alla violenza, al conflitto e alla sopraffazione. Viene suggerito che un elemento ‘selettivo’ e in un certo senso violento sia presente anche nella filosofia dell’arte hegeliana, la quale predilige un particolare modo di proporre lo sviluppo dell’arte. Viene notato, del resto, che anche una lettura che enfatizzi solo l’aspetto della violenza risulta unilaterale.

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[1] W. Desmond, Art and the Absolute: A Study of Hegel’s Aesthetics, Albany, The State University of New York Press, 1986.
[2] J. Kaminsky, Hegel on Art, Albany, The State University of New York Press, 1962.
[3] Hegel and Aesthetics, a cura di W. Maker, Albany, The State University of New York Press, 2000.
[4] Hegel and the Arts, a cura di S. Houlgate, Evanston, IL, Northwestern University Press, 2007.
[5] T. Pinkard, Hegel’s Phenomenology: The Sociality of Reason, Cambridge, Cambridge University Press, 1994.
6] R. Pippin, The Absence of Aesthetics in Hegel’s Aesthetics, in The Cambridge Companion to Hegel and Nineteenth Century Philosophy, a cura di F.C. Beiser, Cambridge, Cambridge University Press, 2008, pp. 394-418.
[7] T. Pinkard, Symbolic, Classical, and Romantic Art, in Hegel and the Arts, cit., pp. 3-28.
[8] Ivi, p. 8.

 

by Giovanna Miolli

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Di seguito i file audio dell’incontro e il documento PDF contenente il resoconto dell’intera seduta:

AUDIO – Introduzione di Luca Illetterati

AUDIO – Relazione di Diego Bubbio_prima parte

AUDIO – Relazione di Diego Bubbio_seconda parte

AUDIO – Relazione di Diego Bubbio_terza parte

PDF – Seminario Hegel Padova 14-01-2014 Relazione Prof. Bubbio e discussione

 

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