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Classical german philosophy. University of Padova research group

Book review: Sebastian Ostritsch, “Hegels Rechtsphilosophie als Metaethik” (Armando Manchisi)

We are glad to share Armando Manchisi’s book review of S. Ostrisch, Hegels Rechtsphilosophie als Metaethik, Mentis, 2014, published in «Universa. Recensioni di filosofia», V (2), 2016.

http://universa.filosofia.unipd.it/index.php/Universa/article/view/467

 

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Sebastian Ostritsch, Hegels Rechtsphilosophie als Metaethik, Mentis, 2014, pp. 370, € 48.00, ISBN 9783897852303

 

Armando Manchisi, Università degli Studi di Padova – Westfälische Wilhelms-Universität Münster

 

Il volume è la pubblicazione della tesi di dottorato di S. Ostritsch, discussa presso l’Università di Bonn sotto la guida di M. Gabriel e insignita nel 2013 del Kant-Preis per le dissertazioni. Nonostante la giovane età dell’A., infatti, abbiamo qui a che fare con uno studio di alto profilo scientifico, scritto con un linguaggio chiaro e preciso, e condotto con estrema padronanza tanto delle fonti hegeliane quanto delle più recenti discussioni metaetiche. Ostritsch dichiara sin dalle prime righe che la sua ricerca più che da un intento storico-filologico è innanzitutto mossa dalla volontà di fornire un contributo sistematico al dibattito contemporaneo. Ciò si origina dal tentativo di interpretare la filosofia del diritto hegeliana come una metaetica e in tal modo fornire una risposta al problema dello statuto ontologico della morale (p.13). Per far ciò l’opera si articola in sette capitoli: i primi quattro affrontano la cornice teorica nella quale si collocherebbe la riflessione pratica di Hegel, mentre gli ultimi tre sono dedicati a un’analisi delle sezioni in cui si dividono i Lineamenti: Diritto astratto, Moralità, Eticità.

In che misura la Rechtsphilosophie hegeliana si lasci effettivamente comprendere come metaetica è la questione discussa nel primo capitolo. Uno dei problemi più dibattuti dalla metaetica è quello del rapporto tra i diversi piani del discorso morale. Ostritsch distingue perciò fra una concezione separatista e una integrativa: la prima suddivide in modo netto etica e metaetica, intendendo quest’ultima come “discorso su” gli oggetti e il linguaggio dell’etica; la seconda concezione, invece, intende i due piani come reciproci e afferenti a un medesimo campo problematico. In questo senso, un lavoro filosofico esaustivo dovrebbe rispondere sia alla domanda etica sul valore, che a quella metaetica sull’essere della realtà morale. Nonostante il termine “metaetica” sia estraneo al lessico di Hegel, la sua filosofia del diritto, in quanto ricostruzione normativa delle strutture reali implicite nella prassi quotidiana, rappresenta secondo l’A. un modello integrativo di etica e metaetica (p.41).

Il secondo capitolo cerca di spiegare in che senso la “volontà libera” sia da intendersi come “principio dell’ontologia morale” hegeliana. Sulla base dell’Introduzione ai Lineamenti, Ostritsch sottolinea tre caratteri fondamentali di tale principio. La volontà è innanzitutto autodeterminazione che si realizza tramite i momenti dell’astrarre da sé e del particolarizzarsi. Essa non va perciò confusa con il mero arbitrio: mentre quest’ultimo persegue fini particolari e contingenti, la volontà libera non vuole che se stessa. È inoltre essenziale che la volontà sia intesa non come una semplice capacità, quanto come attività che realizza se stessa (pp.67-68). Con riferimento a Sellars, Ostritsch definisce la sfera della normatività pratica come lo “spazio logico” che regola e vincola il nostro fare: esso ci fornisce cioè ragioni (non cause) per un agire libero. Questo spazio – in cui consiste la “morale” – è un orizzonte nel quale “qualcosa deve [muss] essere fatta non perché si è determinati in modo causale, ma in quanto si è liberi” (p.69). Su questa base, la filosofia del diritto hegeliana va quindi intesa come un’ontologia morale: “ontologia” poiché il diritto è inteso da Hegel come realizzazione della volontà libera; “morale” perché questo è il terreno della “normatività pratica forte”.

Il terzo capitolo approfondisce ancora il concetto hegeliano di “volere”, inserendolo in modo proficuo all’interno del dibattito fra cognitivismo e non-cognitivismo. Punto di partenza è quella che Ostritsch definisce la “Grundfrage ontologica della metaetica”, ovvero: “la morale viene inventata o scoperta?” (p.75). Muovendosi con grande dimestichezza nel campo dell’etica analitica, l’A. ricostruisce l’annosa questione circa la natura o origine dei giudizi morali: mentre per i cognitivisti tali giudizi possono essere veri o falsi, avanzando dunque pretese di oggettività, per i non-cognitivisti non sono che espressioni di tendenze soggettive (desideri, gusti, passioni). L’idea centrale del capitolo è che Hegel riesca ad aggirare questa dicotomia, difendendo una forma di “espressivismo cognitivista”. Ciò si rende possibile grazie al superamento hegeliano dell’opposizione fra pensiero e volontà, al fine di intendere il soggetto autocosciente come “unità cognitiva e volitiva” (p.97). Per Hegel, infatti, i giudizi morali non possono essere intesi né come mere espressioni, non-normative, di atteggiamenti soggettivi, né come del tutto disincarnati dalla sfera emotiva. La struttura del volere libero, in quanto autodeterminazione, è dunque sia teorico-cognitiva che pratico-volitiva (p.104). Un confronto con le pagine della dottrina logica dell’idea, nelle quali Hegel giustifica a livello sistematico questa unità di conoscere e volere, avrebbe qui permesso all’A. di fondare in modo più consistente la propria interpretazione (pagine cui fanno invece appello quei lavori di L. Siep che costituiscono l’unico altro tentativo di porre Hegel in dialogo con il dibattito metaetico).

La disputa fra cognitivisti e non-cognitivisti circa la (in)dipendenza dei giudizi morali dalla soggettività è connessa alla questione dello statuto di realtà della morale. A questo problema l’A. dedica pertanto il quarto capitolo del suo lavoro, confrontandosi con l’opposizione fra naturalismo e non-naturalismo. Sulla scorta di quanto guadagnato nei capitoli precedenti, Ostritsch dimostra come parlare di morale sia possibile solo in relazione a degli esseri liberi, cioè capaci di autodeterminarsi: le ontologie morali naturaliste non offrono alcuno spazio a una normatività pratica e sono pertanto da rifiutare. A differenza, tuttavia, delle forme correnti di non-naturalismo, la filosofia hegeliana permette di mantenere una visione unitaria della realtà, pur senza rinunciare alla distinzione fra naturale e spirituale. Ciò è possibile, spiega Ostritsch appoggiandosi agli studi di M. Quante, dal momento che per Hegel “natura” e “spirito” sono “concetti relazionali”, cioè hanno senso solo in quanto momenti dell’autorealizzazione di quell’unità di intellegibilità e realtà che Hegel chiama “idea” (p.132). In virtù di questa ricostruzione, l’A. critica anche quei tentativi contemporanei di eludere tale metafisica hegeliana, mostrando in modo persuasivo come essi sfocino in un naturalismo che Hegel invece ha buone ragioni per rifiutare (p.143).

Dopo le analisi generali dei primi capitoli, utili soprattutto a fornire le coordinate metaetiche fondamentali della sua lettura, Ostritsch dedica il resto del volume a un confronto più diretto con i Lineamenti di filosofia del diritto. Il quinto capitolo prende pertanto in esame la prima sezione dell’opera hegeliana – il Diritto astratto –, leggendola come una critica al realismo morale forte. Tale posizione tenta infatti di avanzare pretese normative prescindendo completamente dalle prestazioni dei soggetti agenti. Hegel dimostra invece come la “personalità” (concetto-guida del Diritto astratto) si articola secondo i tre momenti della universalità (come presa di distanza da sé), particolarità (come volere determinato) e singolarità (unità dei primi due). Essere una persona significa quindi essere un ente libero che realizza se stesso. Per Ostritsch il Diritto astratto dimostra che la descrizione del realista forte non è sufficiente a render conto della realtà pratico-normativa: all’autodeterminazione personale, infatti, non appartiene solo l’autoriferimento astratto (la semplice esistenza di esseri liberi), quanto anche l’attività particolare dei singoli soggetti (p.166).

Il capitolo sesto analizza la sezione Moralità. Essendo la “soggettività” il principio-guida di questa sfera, Ostritsch vi ascrive quelle teorie antirealiste per le quali norme e valori sono il risultato di una costruzione o proiezione soggettiva. I primi due capitoli della Moralità (dedicati al “proponimento” e all’“intenzione”) tematizzano una forma di normatività pratica debole, cioè intesa come espressione di disposizioni soggettive, e, come tali, sono secondo l’A. riconducibili alla posizione antirealista di J. Mackie (p.175). Il terzo capitolo, invece, (“il bene e la coscienza morale”) segna il passaggio a una prospettiva per la quale la normatività è il risultato della riflessione di una ragione pratica soggettiva ma valida in modo universale e categorico. Questa sezione viene assimilata al costruttivismo kantiano di C. Korsgaard (p.199). Come è stato tuttavia fatto notare anche da C. Halbig, non viene qui considerato l’esplicito rifiuto del costruttivismo di una fondazione ontologica della morale (presupposta invece da Ostritsch), finendo così per rendere la sovrapposizione un po’ troppo strumentale. Ad ogni modo, seguendo l’argomentazione hegeliana, si dimostra come tali posizioni finiscano per contraddirsi: esse infatti, limitando la normatività pratica alla sfera della soggettività, non fanno altro che presupporre un terreno morale valido oggettivamente, collassando così in se stesse.

Questo terreno che viene presupposto dalle teorie antirealiste non è altro che la sfera dell’Eticità, oggetto quindi del settimo capitolo. Nella prospettiva dell’A., è in questa sezione che è possibile individuare l’autentica posizione metaetica di Hegel. Per Ostritsch, infatti, l’Eticità riesce a legare la concezione realista dell’oggettività della morale con la prospettiva antirealista per cui tale morale è la realizzazione della soggettività. L’Eticità è quindi la sfera della “soggettività oggettiva” (p.210), ovvero l’orizzonte nel quale la libertà si dà forma oggettiva nel mondo sociale. Sulla base di queste analisi, si può dunque secondo l’A. sostenere che le verità morali, per Hegel, non vengono inventate ma scoperte. Ciò che è scoperto è tuttavia al contempo ciò che è costitutivo dei soggetti etici. “Negli ordinamenti normativi oggettivi – conclude perciò Ostritsch – i soggetti trovano se stessi” (p.223).

Chiariti questi punti fondamentali, il resto del capitolo si impegna a un ulteriore confronto con la metaetica contemporanea. In particolare, rifiutando la tesi che si diano individui liberi prima o indipendentemente dal loro incorporamento in una collettività, Hegel si distingue dal costruttivismo sociale (Searle, Foot, Pippin): l’eticità non va considerata un’“aggiunta” all’essere degli individui, quanto la loro autentica realtà. Ma nonostante le profonde affinità, Hegel si distingue anche dal realismo debole (McDowell, Wiggins, Lovibond) in virtù della maggiore ricchezza e profondità della sua posizione, capace infatti di dar ragione non solo di cosa il mondo dei valori sia, ma anche di come si realizzi. Questa ricchezza della posizione hegeliana rende perciò possibile risolvere anche il problema della commensurabilità dei diversi ordini morali, sottraendosi con ciò alla dicotomia fra relativismo e assolutismo: essendo infatti lo spirito realizzazione di sé nella storia, autodeterminazione e autocomprensione non sono che due lati di un medesimo movimento (p.326).

Al termine di questa lettura possiamo affermare che il libro di Ostritsch costituisce senza dubbio un’opera preziosa tanto per la Hegelforschung contemporanea, quanto per gli studi di metaetica. Il volume, infatti, riesce a essere fedele al suo obiettivo di compiere una “ricostruzione” della filosofia di Hegel che costituisse al contempo una sua “attualizzazione” capace di contribuire al dibattito etico contemporaneo (p.15). Lo studio, pertanto, si colloca a pieno diritto all’interno di quel rinnovato interesse per la filosofia pratica hegeliana diffuso già da anni negli Stati Uniti, in Germania e in Francia, e che auspichiamo possa quanto prima stimolare fruttuose ricerche anche nel panorama italiano.

 

Ulteriori recensioni del volume

 

Christoph Halbig, Zeitschrift für philosophische Forschung, 2015, 69: 3, pp. 416-421.

Nadine Mooren, Hegel-Studien, 2016, 49, pp. 255-259.

 

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