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Classical german philosophy. University of Padova research group

Review: Will Dudley (ed.), “Hegel and History” (L. Corti)

Proponiamo la recensione al testo curato da Will Dudley, Hegel and History (SUNY Press, 2009), scritta da Luca Corti e apparsa sull’ultimo numero di Universa. Recensioni di filosofia.

Will Dudley  (ed.), Hegel  and  History, SUNY  Press,  2009, pp. 256, $ 75.00, ISBN 9781438429090

Come il titolo stesso annuncia, il volume curato da Dudley raccoglie una serie di contributi dedicati al rapporto tra Hegel e la storia. I materiali in esso raccolti sono stati originariamente presentati in sede congressuale; ciò fa sì che all’interno del testo il filo conduttore – di per sé vasto e controverso – risulti declinato secondo numerose e talvolta inusuali angolature. Il lettore ha così modo di confrontarsi con questioni filosofiche più generali (il metodo della riflessione hegeliana e l’annosa questione della “fine della storia”, ad esempio) ma anche con temi più specifici (le nozioni di democrazia, di utopia e di razza). Può inoltre apprendere da un’originale ricostruzione storico-filosofica le vicende dell’influenza della cabbala su Hegel, fino a sperimentare estrosi esercizi di riflessione sub specie Hegel, che vedono il filosofo tedesco predire nientemeno che la Guerra Fredda e l’età della globalizzazione. Si tratta di un volume nel complesso eterogeneo, tanto per argomenti affrontati quanto per qualità degli interventi.

Prima di ritagliare un percorso al suo interno, è interessante rilevare una tendenza generale, condivisa in varia misura da tutti gli autori. Quando si parla di Hegel e la storia, al lettore, soprattutto se anglofono, risuonano nelle orecchie le accuse di Popper (Karl  Popper,  The  Open  Society  and  Its  Enemies,  vol.  II, Routledge, 1962), secondo il quale Hegel avrebbe inaugurato a un culto metafisico della storia stessa, intesa come grande teatro di scontro tra entità sovraindividuali (nazioni o stati); un culto che ha costituito la base ideologica per i regimi totalitari del XX secolo. Per questo Hegel si meriterebbe l’appellativo di “padre dello storicismo e del totalitarismo” (Popper, p.20), o meglio, di anello mancante “tra Platone e la forma moderna di totalitarismo” (ibid., p.29).

Si tratta di una lettura che ancora oggi non è del tutto inattuale, da cui tutti gli autori sentono di doversi discostare. La maggior parte di essi si premura infatti di sfatare tale mito, combattendo – direttamente o indirettamente – l’idea secondo cui gli eventi storici, per Hegel, sarebbero guidati da una sorta di agente metafisico che opera dietro le quinte della storia (uno spirito del mondo), manifestantesi  di volta in volta in una diversa costellazione geografica e culturale (uno spirito del popolo), rispetto al quale gli individui sarebbero poco più che marionette. I saggi contenuti nel volume – con le dovute differenze – sono invece più inclini ad attribuire a Hegel una concezione retrospettiva e ricostruttiva della storia. Ciò naturalmente non risolve i problemi e le tensioni interne al pensiero Hegel, ma rappresenta tuttavia un terreno comune e filosoficamente più appetibile, a partire dal quale ogni contributo muove per considerare un aspetto particolare della riflessione hegeliana.

Mario Wenning si occupa della nozione di “utopia” in Hegel, sostenendo che essa ha una connotazione ambivalente. Da una parte Hegel riconosce la carica utopica rappresentata dalla rivoluzione francese,  e quindi  l’elemento di  novità che  essa porta con sé; dall’altra, egli ne stempera il valore, fornendo una narrativa in cui collocare la rivoluzione stessa, così da pensare il cambiamento in termini di rottura non radicale. Hegel, conclude Wenning: “vuole la rivoluzione senza rivoluzionari radicali, ragione utopica senza proiezioni utopiche” (p. 47).

De Boer mette in luce un’altra ambivalenza, radicata nella nozione di moderno di cui Hegel fa uso. Se quando guarda al passato Hegel è “ottimista” (p. 51), ossia crede di poterne mostrare lo sviluppo e il progresso interno (in termini di libertà), non lo è invece nei confronti del presente. Certo, Hegel è in grado di dirci quali forme istituzionali incarnino al meglio la libertà (la sua Filosofia del diritto ha precisamente questo scopo); ma quest’ultima, secondo De Boer, non si è ancora realizzata (p. 61). Se Hegel è scettico, De Boer lo è ancora di più, e si spinge fino a sostenere che tale ideale di libertà – anche in una versione rivista e adattata ai tempi moderni – è costitutivamente irrealizzabile.

Una terza ambivalenza con cui si confronta il lettore di questo volume è quella insita nel concetto di “razza”. Da una parte, ci avverte Sûrya Parekh, Hegel sembra rifiutare il concetto secondo cui “la biologia è destino” – “un destino che attende un popolo, iscritto in ognuno dei suoi cittadini” (p. 112). Dall’altra tuttavia il filosofo tedesco non manca di ricorrere a giustificare biologicamente alcune delle sue tesi, richiamandosi ad esempio a fattori ‘genetici’ o climatici. E’ il caso delle sue tesi sui tedeschi, e di quelle sulla debolezza (e la scomparsa) dei nativi americani. Parek ne ricostruisce le radici storiche, mettendo in luce una fondamentale tensione interna al pensiero di Hegel: quella tra una concezione naturalista e determinista della razza, da una parte, e un’idea invece costruttivista e storica della natura umana, dall’altra.

Andrew Buchwalter mette in campo alcuni argomenti in risposta all’accusa di eurocentrismo spesso mossa alla filosofia della storia hegeliana. La teoria di Hegel, egli sostiene, pur garantendo particolare attenzione all’Europa, è strutturalmente aperta alle diversità geografiche e culturali: nello stesso momento in cui cerca di definire la propria identità, essa si apre all’altro, in un processo di costante costruzione della propria narrativa.

Allegra de Laurentiis si concentra sull’interpretazione hegeliana della Grecità, e mostra come Hegel individui l’espressione concettuale più compiuta di tale forma di vita nella Repubblica di Platone. Quando Hegel dice che Platone “apprende” la natura dell’eticità greca, “non significa che egli descrive la realtà della polis (nel senso del Dasein), né che prescrive una Sittlichkeit utopica, bensì che concettualizza l’essenza della realtà greca” (p. 140).

Jason Howard segue l’evoluzione del concetto di “colpa” e di accountability morale attraverso le varie tappe esposte nella Fenomenologia dello spirito, focalizzandosi in particolare sulla civiltà greca e sull’Illuminismo. Nel suo ottimo saggio, egli sostiene che la nozione di colpa – e quella di imputabilità morale – siano per Hegel una chiave importante attraverso cui concettualizzare l’evoluzione nel tempo dei vari modi di vita e forme di socialità. La tesi di Howard è sostanziale: l’emergere della “colpa” non è soltanto indice di una fase di transizione storica; “il dinamismo dell’imputazione morale può essere detto muovere la storia” stessa (p.168).

Nathan Ross analizza l’idea di lavoro e la sua funzione all’interno della società, mentre Mark Tunick analizza il concetto di democrazia, discutendo le ragioni  – non sempre empiricamente fondate – per cui Hegel non lo considera adatto alla realizzazione della libertà moderna.

Assumendo un punto di vista più generale sull’idea di Geschichte, William Maker attribuisce a Hegel una nozione “aperta” di storia: il moderno, secondo Hegel, sarebbe giunto a incarnare l’ideale illuminista della liberazione da una tradizione fondata sull’autorità; potrebbe dunque ora proseguire dinamicamente il suo sviluppo basandosi su forme di legittimazione autonoma e razionale.

Pierre   Chételat   si   concentra   sull’affermazione hegeliana secondo cui la storia è teodicea. Nel suo saggio egli si oppone all’interpretazione secondo cui, per Hegel, ciò significherebbe che il male nella storia sarebbe giustificato in ragione del fine ottenuto (la libertà). Le obiezioni contro tale interpretazione – che Chételat chiama a lettura mezzi/fine – sono convincenti. Nella pars construens del suo contributo, egli sostiene che “superare” il male non significa “una completa eliminazione della sofferenza, bensì l’accettazione del soffrire” (p. 223).

Glenn Magee chiude il volume con una ricostruzione del legame tra Hegel e alcune idee contenute nella cabbala, tracciando un percorso che vada dalla tradizione cabbalistica medievale – riscoperta nella prima età moderna da Luria – e giunge fino alle figure di Jacob Böhme e F. C. Oetinger. E’ soprattutto quest’ultimo, la cui influenza su Schelling appare documentata, a costituire l’anello di collegamento con il pensiero di Hegel. Si tratta di una tra le molte linee d’influenza che portano all’idealismo tedesco, di cui Magee esorta l’approfondimento.

Particolarmente estroso è il saggio di John McCumber, che offre un’avventurosa applicazione del pensiero di Hegel alla storia contemporanea. La tesi principale è la seguente: “il pensiero di Hegel fornisce categorie per comprendere la Guerra fredda e la lotta al terrorismo” (p.78). Hegel, di fatto, “previde” la rigidità della guerra fredda (p.75) e tale lungimiranza va considerata come una “stupefacente vittoria del pensiero hegeliano” (ibid.). In sintesi: la dialettica fichtiana tra Io e Non-Io sarebbe traducibile nello scontro tra i due blocchi ideologici, Stati Uniti e Unione Sovietica, ciascuno dei quali si definisce in opposizione all’altro. Una volta compiuta l’equiparazione, possiamo utilizzare la critica hegeliana a Fichte, così da prevedere dialetticamente gli sviluppi politici dell’era post-ideologica. Con il collasso dell’Unione Sovietica, la necessità di un nuovo nemico (un nuovo non-io) e la costituzione di questo come fanatismo religioso (l’anima bella) possono anch’esse venire lette in chiave hegeliana. Ciò porta McCumber a fare previsioni per il futuro: da una parte egli annuncia lo sviluppo di una società della comunicazione in cui si dissolve il concetto (hegeliano) di limite – essa fiorirà in Europa, o forse in Cina (p. 81-82); dall’altra, il versante terrorista sembra condannato a regredire, trasformandosi in una “congerie di belligeranti trogloditi, come i ciclopi di Omero” (p.78). Questa non è l’unica spiegazione hegeliana possibile, afferma McCumber, poiché il futuro è aperto e la storia è ironica. Il suo originalissimo saggio, di cui consigliamo la lettura, ne è sicuramente una prova.

 Luca Corti, Università degli Studi di Padova 

Il testo in PDF della recensione può essere scaricato al seguente link: L. Corti – Recensione di Will Dudley (ed.), “Hegel and History”.

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