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Classical german philosophy. University of Padova research group

Review: Alessandro Bertinetto, “La forza dell’immagine. Argomentazione trascendentale e ricorsività nella filosofia di J. G. Fichte” (G. Petrini)

Proponiamo la recensione al testo di Alessandro Bertinetto La forza dell’immagine. Argomentazione trascendentale e ricorsività nella filosofia di  J. G. Fichte (Mimesis, 2010), scritta da Giacomo Petrini e apparsa sull’ultimo numero di Universa. Recensioni di filosofia.

 Alessandro Bertinetto, La forza dell’immagine. Argomentazione trascendentale e ricorsività nella filosofia di J. G. Fichte, Mimesis, 2010, pp. 262, € 19.00, ISBN 788857501109.

La particolare attenzione dedicata al medio e tardo periodo dell’itinerario filosofico di Fichte (1800-1814) e la tesi secondo cui il graduale abbandono della terminologia egologica nelle esposizioni della Wissenschaftslehre (WL) di quegli anni, lungi dal segnare un distacco dalla prospettiva trascendentale delle opere jenesi (1794-1799), è determinato da un coerente approfondimento di quest’ultima, costituiscono due tratti fondamentali della Fichte-Forschung più recente. Il libro di Bertinetto condivide questa impostazione, ma si distingue inoltre come contributo originale in quanto identifica il tema comune a tutte le esposizioni della WL, ovvero l’autoriflessività e la ricorsività implicitamente contenute in ogni forma di sapere ed elevate a chiara coscienza dalla riflessione filosofica, con la struttura del concetto di immagine, e presenta la dottrina della scienza come una Bildlehre in grado di risolvere le aporie a cui le attuali filosofie dell’immagine non riescono a sottrarsi. Focalizzandosi di volta in volta su aspetti o applicazioni particolari del concetto, queste teorie rimangono viziate dall’unilateralità del punto di partenza, mentre l’indagine di Fichte verte sulla struttura logico-trascendentale dell’immagine e coglie perciò in modo unitario la complessità degli aspetti che la compongono.

Questi temi sono trattati nella prima parte del libro. Nel primo capitolo Bertinetto, riprendendo le ricerche di L. Wiesing, fornisce una panoramica sul dibattito contemporaneo intorno all’immagine. Ad una lettura antropologica che riconduce gli aspetti figurativi dell’immagine (Darstellung) al rappresentare della coscienza (Vorstellung), si affiancano un’interpretazione sensista – per la quale l’immagine come segno soggiace alla distinzione tra significante, senso e significato –, un approccio percettologico che lascia da parte il rimando denotativo dell’immagine ad un oggetto esterno, una posizione mediologica che, limitandosi all’aspetto visivo, riduce l’immagine ad una “cosa nel mondo” e, infine, un’analisi ermeneutica che individua correttamente l’essenza dell’immagine nella “differenza iconica”, cioè nel riferimento ad un essere extra-immaginale. Attraverso tale differenza l’immagine si configura come relazione oppositiva tra due termini, uno dei quali è l’immagine stessa.

È facile vedere che Fichte attribuisce al sapere (e, di riflesso, alla coscienza e all’esperienza) la stessa struttura differenziale, valorizzando al contempo la portata genetica e produttiva di quest’ultima: il sapere come immagine dell’essere e l’essere medesimo si costituiscono come tali solo all’interno e per opera della relazione che li lega, la quale è a sua volta il sapere. La WL va perciò intesa come una “logica trascendentale che comprende l’immagine in quanto immagine” (p. 37), ossia come un’analisi della differenza iconica. Per esporre la struttura dell’immagine Fichte si serve dei termini sostantivati Als e Durch: l’immagine dev’essere per sé in quanto immagine (riflessività), ma ciò è possibile solo attraverso la relazione differenziale che la costituisce (ricorsività). Infine, i termini fichtiani intuizione e concetto designano l’immagine, rispettivamente, come correlato negativo dell’essere al livello della coscienza naturale e come totalità della relazione essere-immagine dal punto di vista della riflessione trascendentale. Per concludere: l’immagine è Durch- Einheit in quanto unità che si articola nell’opposizione duale tra immagine ed essere.

Nel capitolo secondo l’Autore presenta la dottrina di  Fichte come sintesi tra la critica kantiana della ragione e l’esigenza, già avvertita da Platone, di stabilire le condizioni di possibilità di un discorso filosofico sull’essere a partire dal complesso status ontologico dell’immagine, la cui teoria presentata nel Sofista coglie già la differenza iconica. La distinzione tra coscienza naturale e riflessione filosofica consente a Fichte di tenere insieme due accezioni apparentemente incompatibili dell’immagine (Bild): da un lato essa è Abbild o copia dell’essere, e come tale non è l’essere stesso; dall’altro è una “forza creativa” che dà forma (bildet) e costruisce l’esperienza in cui l’essere si manifesta. Unificando i due aspetti e riconducendoli in quest’ordine ad intuizione e concetto, Fichte rimuove la difficoltà che Kant, partendo dalla separazione tra sensibilità e intelletto, aveva invano tentato di superare con l’introduzione dello schematismo come termine medio tra i due Erkenntnisstämme.

Nell’ottica della riflessione trascendentale, basata sulla funzione creativa o “gestaltica” dell’immagine, la tradizionale concezione dell’oggettività del sapere come adaequatio del pensiero ad una “cosa in sé” precostituita perde significato, poiché un essere al di fuori del sapere-immagine implica una “contraddizione performativa” (p. 134) al pari di un presunto sapere senza oggetto, e qualsiasi determinatezza nel campo dell’essere deve pensarsi all’interno della relazione espressa dall’immagine. L’oggettività è piuttosto il risultato di un’attività figurativa, un prodotto dell’immagine, nella misura in cui solo grazie a quest’ultima acquista senso e comprensibilità. Insieme alla costruzione dell’oggetto sorge inoltre la soggettività empirica.

L’immagine, che è al tempo stesso esibizione di sé in quanto immagine, ha poi la stessa struttura autoreferenziale e riflessiva dell’Io, definito nelle WL jenesi attraverso l’identità di essere ed essere-per-sé (autoposizione). Nel concetto trascendentale dell’immagine rientrano quindi appercezione ed autocoscienza, ovvero la “forma-Io”.

Nell’ultima parte del capitolo si sottolinea che l’oggetto del sapere-immagine (l’essere in quanto altro dall’immagine) non si lascia concettualizzare in alcun modo. Fichte designa metaforicamente tale “assoluto” con  l’infinito  sostantivato Leben e lo caratterizza negativamente in termini di Bild- e Reflexionslosigkeit. Si riconosce qui il limite del sapere teoretico, che si traduce in uno sforzo asintotico di figurazione, e la conseguente necessità del passaggio ad una filosofia intesa come saggezza pratica o “modalità creativa di manifestazione della vita” capace di “agire a livello pratico, etico e politico” (p. 92).

Il terzo capitolo mostra che la forma ricorsiva dell’immagine definisce, su un piano “metalinguistico”, la struttura epistemologica della WL in quanto indagine sulle condizioni del figurare (fenomenologia) che coglie se stessa a sua volta come immagine (fenomeno). Strumento di questa coscienza riflessiva è l’“immaginazione produttiva” che agisce mediante l’intuizione intellettuale, identificata con l’Io in quanto attività libera che fonda geneticamente ogni fattualità costituita. La prima parte del libro si chiude con un excursus che rileva un’inedita affinità tra le Fichte-Studien di Novalis (1795-1796) e la Spätphilosophie di Fichte relativamente alla nozione di immagine come sintesi di intuizione e concetto, alla coscienza come immagine dell’essere e alla circolarità della filosofia.

La seconda parte, dedicata alla ricorsività nel pensiero fichtiano, si apre con due capitoli di carattere generale, per addentrarsi poi in un’analisi puntuale e piuttosto tecnica di alcuni scritti del filosofo. Nel capitolo quarto l’Autore si sofferma sulla specificità del discorso logico-trascendentale della WL in opposizione alla logica formale, limitata ad un’analisi delle operazioni dell’Io reale ottenuta mediante l’osservazione psicologico-empirica, e al criticismo kantiano che, senza esplicitare fino in fondo la genesi dei fatti della coscienza a partire dall’Io come pura attività e dalle leggi del suo operare, “trova” le strutture trascendentali dell’esperienza (appercezione pura, categorie, intuizioni a priori) come dati non riducibili ad un principio ulteriore e resta perciò legata ad una prospettiva in senso lato empirista. Come il concetto, secondo Fichte, non si aggiunge ad un materiale intuitivo preesistente, così l’appercezione pura (reinterpretata come intuizione intellettuale) non accompagna semplicemente i contenuti della coscienza, ma costituisce la coscienza stessa poiché, al pari di intuizione e concetto, rientra necessariamente nella forma dell’immagine. La riflessione del filosofo non è quindi una rappresentazione esteriore, oggettiva della coscienza, ma un’autocomprensione genetica dell’Io nel proprio agire. In altri termini: la filosofia come “autoriflessione del fenomeno” coglie il fatto e la genesi nella loro necessaria correlazione (p. 153).

Nel quinto capitolo si espone la concezione fichtiana dello spirito (Geist) in quanto principio operante nell’indagine trascendentale-genetica delle condizioni della coscienza, in contrasto col sapere empirico-fattuale. Identificato con l’immaginazione produttiva e con l’Io stesso, e definito come capacità di “dare forma” a ciò che si presenta all’Io nel sentimento (Gefühl), lo spirito è l’organo della filosofia e di ogni attività umana in generale. Esso svolge quindi in Fichte una funzione assai più estesa che in Kant e Schiller, per i quali è limitato alla creazione artistica.

Con il sesto capitolo inizia la parte del libro più  interna  al dettato fichtiano. Tema del capitolo è l’introduzione alla WL attraverso la distinzione tra il punto di vista del filosofo e quello della coscienza naturale, per come viene trattata nelle Institutiones omnis philosophiae del 1805. Ricompaiono nell’analisi di questo testo temi già visti, in particolare la natura fattuale ed astratta della logica formale e l’incapacità dell’intelletto, vincolato alla mediazione (Durch) e alla separazione tra l’oggetto del pensiero e il pensiero stesso, di comprendere la libertà e l’assoluto.

Nel settimo capitolo, relativo alla WL 1804/II, Bertinetto si sofferma sulla differenza tra i sistemi tradizionali, che assumono un fatto come principio, e la WL che parte da un atto (Tathandlung) dal quale deduce geneticamente ogni fattualità. Al fine di una vera comprensione della WL viene nuovamente auspicata la Vernichtung del pensiero concettuale e discorsivo in favore di una traduzione della filosofia in saggezza pratica (Weisheit).

La ricorsività e la deduzione delle categorie sono il tema centrale dell’ultimo capitolo, dedicato alla WL di Erlangen (1805). In contrasto con la deduzione kantiana, garantita dall’assunzione dell’Io penso a titolo di fatto, Fichte intende l’appercezione trascendentale come l’operazione con cui la WL riflette al contempo sul sapere e su se stessa in quanto scienza del sapere. Le categorie, colte inizialmente come azioni dello spirito sul piano metalinguistico dell’argomentazione filosofica, vengono poi dedotte (abgeleitet) nel loro ruolo costitutivo per l’intelletto e per il sapere oggetto della filosofia. L’ultimo aspetto degno di nota è l’introduzione da parte di Fichte del termine Licht per designare l’“unità organica di vedere ed essere in cui consiste l’‘intuizione Io” (p. 234), ovvero l’identità finalmente realizzata tra il fatto e la genesi, il sapere comune e la riflessione trascendentale, il “dire” e il “fare” del filosofo.

Nel complesso il libro di Bertinetto è senza dubbio pregevole per l’originalità, la ricchezza di contenuti e la capacità di integrare un’analisi di difficili testi fichtiani, assai meticolosa ed aggiornata dal punto di vista bibliografico, con una prospettiva più ampia che ne mostra la fecondità rispetto al dibattito filosofico attuale. Proprio per tale ampiezza, che emerge già dalla scelta di un tema, la natura dell’immagine, su cui convergono riflessioni di ordine teoretico ed estetico, il libro si sottrae all’eccessivo tecnicismo che caratterizza tanta parte della Fichte-Forschung più recente e può essere studiato con profitto anche da lettori non specialisti.

Giacomo Petrini, Università degli Studi di Padova

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