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Classical german philosophy. University of Padova research group

Review: David S. Stern (ed.), “Essays on Hegel’s Philosophy of Subjective Spirit” (L. Corti)

Proponiamo la recensione al testo curato da David S. Stern, Essays on Hegel’s Philosophy of Subjective Spirit (Suny Press, 2013), scritta da Luca Corti e apparsa sull’ultimo numero di Universa. Recensioni di filosofia.

David S. Stern (ed.), Essays on Hegel’s Philosophy of Subjective Spirit, Suny Press, 2013, pp. 254, $80.00, ISBN 9781438444451

La Filosofia dello spirito soggettivo è una delle parti più scivolose del sistema di Hegel. In essa il filosofo tedesco riconfigura speculativamente i contenuti di discipline quali l’antropologia, la fenomenologia, la psicologia, ordinandoli in uno sviluppo progressivo finalizzato a quella che egli stesso chiama “liberazione dello spirito”. Nel farlo Hegel affronta un’ampia quantità di temi: dalla natura dell’anima allo status dell’abitudine, dalla teoria dei sentimenti alla natura della cognizione, passando per la teoria del riconoscimento, le speculazioni sulla follia etc.

Anche se la ricchezza dei temi affrontati sembrerebbe fare del testo un terreno invitante per gli studiosi, questi ultimi se ne sono da sempre tenuti piuttosto alla larga. Da una parte a causa della natura dell’argomento di Hegel, che resta comunque difficile e problematica; dall’altra a causa dei molti elementi legati alla visione scientifica e pseudoscientifica del tempo che egli fa propri e che si rivelano poco attraenti per un filosofo contemporaneo. Tra gli esempi di cui Hegel si serve per corroborare le proprie tesi troviamo: il “malato che udiva e leggeva soltanto con l’epigastro” (G.W. F. Hegel, Filosofia dello spirito, Utet, 2000, p. 201), i ciechi “in grado di riconoscere il vaiolo da una leggera inflessione nasale” (ibid., p. 170), i sonnambuli, i rabdomanti, i chiaroveggenti (ibid., p. 199) e altri fenomeni legati alla moda del mesmerismo in voga nei primi dell’800. Dati questi presupposti, la scarsa attenzione riservata a questa parte del sistema sembra tutt’altro che ingiustificata.

Eppure, se si lasciano da parte gli elementi più storicamente contingenti (ma non per questo meno importanti) presenti nella Filosofia dello spirito soggettivo, essa sembra contenere ancora un potenziale filosofico degno di essere esplorato. Questa è la tesi che sta alla base del volume  Essays on Hegel’s Philosophy of Subjective Spirit, la prima raccolta di saggi in lingua inglese dedicati a questa parte del sistema.

Il volume contiene tredici articoli, dodici dei quali hanno come oggetto un aspetto particolare del testo hegeliano. L’ordine dei contributi segue lo sviluppo argomentativo presentato da Hegel. Non si tratta tuttavia di un commentario: ciascun articolo muove spesso da un tema specifico per avanzare considerazioni di ordine più ampio. L’ultimo saggio, a differenza dei precedenti, è di taglio più generale. Cercheremo di fornire una breve panoramica di ciascuno di essi.

Nuzzo e Testa rivolgono la loro attenzione all’Antopologia, prima parte della filosofia dello spirito soggettivo. Entrambi argomentano a favore della centralità della nozione hegeliana di anima, il cui carattere è fondamentale nella visione hegeliana del Geist. Per Nuzzo in particolare la relazione corpo-anima, nella sua progressiva articolazione, costituisce il motore (e il soggetto) dello sviluppo della filosofia dello spirito soggettivo.

Testa considera la relazione corpo-anima ad un tempo come una questione locale (relativa cioè a uno stadio specifico dello sviluppo del sistema hegeliano) e globale (essa rende particolarmente visibile la prospettiva filosofica generale fornita da Hegel). Nella sezione sullo spirito soggettivo – argomenta Testa – Hegel ci fornisce una ricostruzione genealogica delle nostre capacità cognitive, la quale va inserita all’interno di un programma filosofico essenzialmente naturalista.

Reid e Magee presentano due interessanti ricostruzioni di carattere storico, utili per capire la provenienza di alcune vedute esposte in tale parte del sistema. Reid mostra come una parte consistente delle idee di Hegel abbia la propria origine nelle lezioni di psicologia empirica di J. F. Flatt, che Hegel aveva seguito a Tubinga. I corsi di Flatt, a loro volta riconducibili al Magazin zur Erfahrungsseelenkunde – rivista pubblicata a Berlino tra il 1783 e il 1793 da Moritz – sono il luogo da cui Hegel trae diversi dei suoi esempi aneddotici (p. 44). A partire da questa ricostruzione, Reid analizza una variazione occorsa tra l’Enciclopedia del 1827 e quella del 1830: Hegel modifica il titolo della sezione “L’anima che sogna”, facendolo diventare “L’anima che sente” o “Anima del sentimento”. Questo cambiamento, secondo Reid, va inteso come un attacco alla psicologia del sentimento di Schleiermacher, motivato dall’istanza illuminista già presente in Flatt.

Magee ricostruisce l’influenza esercitata su Hegel dalle “strane speculazioni di G. H. Schubert” (p. 55), contenute in un’opera assai influente intitolata Die Symbolik des Traumes. In quest’opera Schubert, medico e letterato, teorizza una forma di attività pulsionale inconscia legata al “sistema ganglico”, la quale determinerà la concezione della malattia mentale tanto in Hegel quanto nei romantici e in Schopenhauer (p. 63).

Howard, invece, esplora la concezione hegeliana delle emozioni, ponendola a confronto con alcune posizioni filosofiche contemporanee. Pur mettendo in risalto il valore della prospettiva di Hegel, Howard critica l’idea – che ritiene Hegel faccia propria – secondo la quale le emozioni sono legate in maniera biunivoca a una componente fisiologica.

Mowad e Wenning analizzano entrambi il rapporto tra il sonno dell’anima, la veglia e la pazzia. Si tratta forse dei due contributi di minor spessore nell’economia dell’intero volume. Il primo si mantiene a un livello assai metaforico del discorso. La tesi dell’autore è la seguente: la pazzia “non è solo un dormire mentre si è svegli, ma un dormire in virtù del carattere del risveglio”. Quindi la condizione del dormire mentre si è svegli non può essere corretta mediante un altro risveglio” (p. 87). Posto il problema in questi termini, resta difficile per il lettore trovare elementi che gli permettano di tradurre la metaforologia in un linguaggio più sistematico.

Wenning offre invece una lettura della follia che risente di un orientamento d’ispirazione psicanalitica, secondo cui Hegel sarebbe l’anticipatore di teorie come quelle “di Freud, Jung e altri psicologi del profondo” (p. 110). Forse anche a causa del ristretto numero di pagine a disposizione, tanto il paragone con tali figure quanto l’analisi del testo di Hegel non consentono un dispiegamento in profondità della questione (nessuna opera degli “psicologi del profondo” viene del resto citata nel saggio).

Lumdsen affronta il tema dell’abitudine, che Hegel stesso definisce “un punto difficile nell’organizzazione dello spirito” (G.W.F. Hegel, cit., p. 239). L’abitudine “opera tra ragione e natura” (p. 126), e Lumdsem mette bene in luce, attraverso l’analisi testuale, come la nozione ponga la filosofia hegeliana in disaccordo con molte sue recenti interpretazioni. Queste ultime infatti tendono a fare della distinzione tra ragione e natura una dicotomia inaggirabile: o ci si comporta normativamente, seguendo una regola il cui contenuto è socialmente stabilito (essendo in tal modo esseri spirituali), o ci si comporta in conformità a una regola in quanto legge di natura (essendo in tal modo esseri naturali), tertium non datur. Hegel, sostiene Lumsen, mostra invece come le norme e i comportamenti “spirituali”, prima di essere riflessivamente tematizzati, vengano interiorizzati o incorporati attraverso un processo di abituamento. “Ciò che Hegel sta cercando di catturare con l’abitudine è il fatto che gran parte della nostra identità è sedimentata nell’abitudine, non si trova nell’azione e nei valori scelti razionalmente e auto-determinati” (p. 135).

Bykowa e Williams si rivolgono entrambi alla tematica del riconoscimento, mettendo anch’essi in dubbio alcune note interpretazioni di Hegel. Bykowa difende una lettura autenticamente intersoggettiva della dinamica dell’Anerkennung, criticando quegli studiosi che vedono nel pensiero dello Hegel maturo una riduzione (o perfino l’annullamento) del ruolo dell’intersoggettività.

Williams, d’altro canto, analizza la teoria del riconoscimento spostando l’accento su un aspetto a suo avviso trascurato dagli interpreti, quello dell’autorealizzazione dell’individuo. Nel fare ciò, egli polemizza contro la lettura data da Robert Pippin, da lui considerata troppo ficthiana e meccanicista (p. 171). Per Pippin il riconoscimento è tale solo in un contesto istituzionale, l’unico capace di garantire l’autentica oggettività delle norme. Il richiamo all’istituzione, ossia a una dimensione sovraordinata rispetto agli atteggiamenti dei vari soggetti che riconoscono vicendevolmente la correttezza dei propri comportamenti, lascia insoddisfatto Williams, che considera la nozione di istituzione come “calata dal cielo” (p. 172). Williams sembra voler contrapporre a essa un modello aristotelico basato sulla nozione di auto-realizzazione, tale da condurre l’individuo a realizzarsi “attraverso una incorporazione progressiva della prospettiva dell’altro” (p. 172).

Surber concentra la sua attenzione sulle sezioni della Psicologia dedicate al linguaggio. Attraverso un’interessante analisi storica, egli mette in relazione il testo di Hegel con le idee di Kant sulla Sprache da una parte, e con la critica mossa alla filosofia kantiana da Hamann e poi da Herder dall’altra. La posizione di Hegel si puo considerare “come la risposta sia al rifiuto kantiano di tali questioni, considerate irrilevanti per la filosofia, sia al contempo all’insistenza dei metacritici sul fatto che tutta la filosofia si risolve in Sprachkritik” (p. 195). Hegel – illustra Surber – si trova a metà strada tra questi due approcci: egli non liquida il linguaggio come un aspetto del tutto ininfluente per la cognizione (una mera faccenda empirica, come aveva detto Kant), ma tuttavia ne relega il portato cognitivo al dominio della “rappresentazione”. In tal modo Hegel si espone a una serie di difficoltà, illustrate da Surber alla fine del suo articolo.

Il saggio di Dien Wienfiel, penultimo della serie, è una ricostruzione del percorso compiuto da Hegel nell’ultima parte dello Spirito soggettivo. Ciò facendo, Dien Wienfiel si propone di giustificare una prospettiva inclusiva: le riflessioni hegeliane sulla razionalità pratica, contenute in chiusura della sezione sullo spirito oggettivo, inglobano quelle precedenti sull’intelligenza, la quale, di conseguenza, si dimostra essere la condizione necessaria per ogni agire razionale. Una volta integrate queste due dimensioni, la volontà diventa genuinamente razionale. “Così auto-determinazione, universalità dello scopo, unità di forma e contenuto, oggettività vanno tutte insieme’” (p. 217). In questo senso Hegel può affermare, secondo Dien Wienfild, che il volere è libero solo in quanto intelligenza pensante (ibid.).

L’ultimo saggio contenuto nel volume, come abbiamo anticipato, è di carattere generale. In esso Grier delinea due modi di concepire il rapporto mente-corpo. Il primo, che chiama concezione “Comprensiva”, inserisce il problema in una cornice più generale di comprensione filosofica, in cui si cerca di spiegare al contempo tanto lo statuto della mente nel mondo, quanto il modo in cui la mente conosce il mondo. Il secondo paradigma, detto concezione “Ristretta” e divenuto particolarmente influente “attraverso la seconda metà del XX secolo” (p. 232), presuppone una eterogeneità di principio tra il fisico e il mentale, cercando di rimediare ai “conseguenti dilemmi riguardanti la relazione dell’uno all’altro” (p. 232). Dopo aver presentato i due paradigmi e aver schierato un certo numero di filosofi su entrambi i fronti, Grier prende parte per la visione comprensiva, l’unica che può “incorporare lo spettro completo di problemi filosofici effettivamente impliciti in una visione adeguata della relazione della mente alla natura” (p. 241).

Con questo saggio si chiude un volume che presenta molti contributi interessanti per chi vuole approfondire la propria conoscenza di questa parte del sistema hegeliano, al quale la letteratura specialistica ha dedicato assai poco interesse.

Questo vale soprattutto per il mondo anglofono, ed è un peccato che le ragioni di tale prolungato disinteresse per la Filosofia dello spirito soggettivo non trovino praticamente spazio alcuno in questo primo volume in inglese dedicato al tema: né all’interno dei saggi, né nell’Introduzione, il luogo forse più adatto per rivolgersi alla questione. Discutere tali ragioni non appare affatto secondario, per chi voglia riportare questa parte del sistema al centro dell’attenzione filosofica, aprendo un confronto con le altre letture di Hegel presenti nell’odierna arena filosofica.

Luca Corti, Università degli Studi di Padova 

Il testo in PDF della recensione può essere scaricato al seguente link: L. Corti – Recensione di David S. Stern (ed.), “Essays on Hegel’s Philosophy of Subjective Spirit”

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