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Classical german philosophy. University of Padova research group

Materials: “Introduzione all’Enciclopedia delle Scienze Filosofiche di Hegel”, G. Riccadonna (a cura di), Studium, 2017

Siamo lieti di segnalare l’uscita del volume Introduzione all’Enciclopedia delle Scienze Filosofiche di Hegelcurato da Gianluca Riccadonna ed edito da Studium.

Il volume offre una nuova traduzione con testo tedesco a fronte dell’Introduzione all’Enciclopedia delle Scienze Filosofiche in Compendio di Hegel.

Nella sua introduzione, il curatore Gianluca Riccadonna considera il carattere quasi di “testamento filosofico” del testo presentato, sottolineando come questo racchiuda i punti fondamentali della speculazione hegeliana.
Siamo felici di poter condividere con i nostri lettori un estratto di tale introduzione (scaricabile in formato pdf a questo link)

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PREMESSA del curatore

L’accesso a Hegel è sbarrato per chi non ha alcuna familiarità con la sua intenzione complessiva. Essa si deve evincere anzitutto dalla sua critica alle filosofie del passato e a quelle del suo tempo. Occorre aver presente ogni volta, anche se solo provvisoriamente, dove Hegel sta andando a parare; illuminarlo per così dire a ritroso. Egli richiede oggettivamente, non semplicemente per abituare il lettore alla cosa, una lettura ripetuta. E però, se si punta su tutto questo, si rischia nuovamente di falsificarlo. Facilmente si produce, cioè, querllo che finora ha maggiormente nuociuto all’interpretazione: una vuota coscienza del sistema, incompatibile con il suo intento di non essere un concetto generale astratto di contro ai suoi momenti, ma di conseguire la verità solo attraverso i momenti concreti.

Theodor W. Adorno, Drei Studien zu Hegel, Suhrkamp, Frankfurt a. M., 1963 (trad. a cura di F. Serra, rivista da G. Zanotti, Tre studi su Hegel, il Mulino, Bologna 2014[1971], p. 117)

 

Nella Prefazione alla prima edizione (maggio 1817), Hegel tiene a rimarcare fin dall’inizio che con l’Enciclopedia è proposta «una nuova elaborazione [neue Bearbeitung] della filosofia, secondo un metodo che», egli spera, «sarà riconosciuto come l’unico veritiero, identico al contenuto». Il fine ultimo di tale, inedita concezione filosofica è esplicitato al termine della stessa Prefazione, laddove viene detto che con essa si intende soddisfare l’interesse per «la conoscenza della verità [Erkennen der Wahrheit[1]. In aperta polemica con i contemporanei aneliti romantici, e con i loro «avventurosi» e «folli» progetti filosofici, ovvero con i pur coevi, rassegnati atteggiamenti neoscetticisti o criticisti, Hegel dichiara di voler affidare ai paragrafi del suo «manuale» nientemeno che il metodo e il contenuto della verità[2]. Dando così concreto seguito alle assicurazioni di qualche mese prima quando, nella lezione inaugurale all’università di Heidelberg (28 ottobre 1816), si era rivolto al pubblico esortandolo a riporre «la più completa fiducia nella grandezza e potenza dello spirito» e confermandolo circa il fatto che «con questa fiducia niente vi sarà di così refrattario e resistente da non svelare il suo intimo. L’essenza dell’universo, in un primo tempo celata e chiusa, non ha forza di resistere al coraggio che vuol conoscerla»[3].

In queste poche frasi è riassunto il significato dell’impresa culturale cui Hegel si accinse con la stesura dell’Enciclopedia, edita per ben tre volte (nel 1817, nel 1827 e poi ancora nel 1830): riconciliare i moderni con la scienza, liberando questa dalle angustie e dalle velleità cui era pervenuta fra Settecento e Ottocento e restituendo a quelli la piena dignità di «sapienti». Progetto riconducibile all’ideale frühromantisch di una «mitologia della ragione» schillerianamente volto a rinnovare l’umanità, condiviso in gioventù dall’ ex allievo di Tubinga e dai suoi più intimi sodali Hölderlin e Schelling[4]; ma che nella fase ormai matura del suo pensiero e della sua carriera di insegnante doveva assumere le forme didattiche dell’enciclopedia, ossia dell’articolazione completa delle scienze e del loro nucleo filosofico.

Fichte prima e in seguito Schelling, dalla cattedra di Jena, avevano avviato il programma di sistematizzazione della scienza, la cui germinale intuizione si ritrova già nel trascendentalismo kantiano e nell’idea di una «architettonica della ragione pura»[5]. Senza tuttavia che i due fossero pervenuti ad alcuna sintesi compiuta. E, soprattutto, a giudizio di Hegel, entrambi difettando di quella visione propriamente circolare (egkyklios) che solo il suo pensiero riusciva a conseguire e a esprimere, perciò facendosi autenticamente «sistema enciclopedico» e così ponendosi su di un piano «speculativo». L’unico precedente accostabile a tale impresa, pur nelle forme succedanee[6] del sapere immediato (unmittelbar Wissen) e del sentimento (Gefühl), era stato quello di Jacobi, cui Hegel allude nelle ultime righe della Prefazione, riconoscendo il comune interesse per una «conoscenza più elevata» e per la «visione razionale [vernünftige Einsicht], la quale sola dà all’uomo la sua dignità»[7]. Proprio il rinnovato, positivo giudizio espresso sull’irriducibile teista (e ormai anziano) autore delle Lettere sulla dottrina di Spinoza a Mosè Mendelssohn (1785) conferma l’afflato quasi religioso, la «missione» da cui Hegel si sente ispirato nell’annunziare pubblicamente il sistema.

La scelta di presentare in forma enciclopedica il suo «manuale» e parte dei suoi corsi universitari, a Heidelberg come poi anche a Berlino, non è dunque imputabile a mere ragioni pedagogico-didattiche, pure operanti in Hegel e certamente documentate nella prassi accademica della Germania del tempo[8], bensì all’ambiziosa ed esclusiva concezione della filosofia elaborata in vari anni di insegnamento (prima come libero docente presso l’ateneo di Jena e poi all’Ägidien-Gymnasium di Norimberga) e, soprattutto, nel corso della stesura della Fenomenologia (1807) e della Scienza della logica (1812/1816). Con le quali egli aveva, rispettivamente, ricostruito il processo (individuale e collettivo) di presa di coscienza della nuova visione sistematica del sapere, e analizzato la sua più intima composizione. Giungendo infine al convincimento che l’unica forma espositiva idonea a dare conto dell’intera e organica articolazione del sistema non potesse che essere l’enciclopedia filosofica.

 

Tipico dell’epoca attuale, osserva ancora Hegel nella Prefazione alla seconda edizione dell’Enciclopedia (maggio 1827), è l’insopprimibile bisogno (Drang/Bedürfnis) di filosofia che essa ha manifestato e continua a manifestare[9]. A tale richiesta egli intende rispondere con il concetto (Begriff), ossia con la figura che restituisce il pensiero nella sua più autentica dimensione, già descritta nella terza, conclusiva sezione della Scienza della logica e costituente ora il perno attorno a cui ruota l’intera Enciclopedia. Nella maturità formale del concetto, così aderente per Hegel al carattere filosofico dei moderni, e nella sua fluida organicità si risolvono gli stessi contenuti (eternamente giovani[10]) e trovano sia intrinseca che estrinseca giustificazione i singoli saperi, attratti dai circoli (Kreisen) della filosofia della natura e della filosofia dello spirito (Geist), a loro volta orbitanti attorno a quello della logica. Il circolo si trasforma così, da schema dell’autocinesi del pensiero svolgentesi dall’in sé all’ in sé e per sé (attraverso la mediazione del per sé), in esposizione reale della scienza nei suoi contenuti: in en-ciclo-pedia, appunto[11]. Nella quale è compendiata la verità, ossia il logos (l’idea) che realizza se stesso sapendosi[12].

Intento primo di queste pagine prefatorie è ricostruire, seguendo l’Introduzione all’Enciclopedia, le fasi salienti e il significato complessivo di tale inverarsi dell’autocoscienza attraverso il sapere universale: l’Introduzione, infatti, proposta qui nella sua ultima versione (1830), è fra i testi di Hegel il più sintetico ed efficace nell’esprimere la centralità del concetto e, con essa, il senso della rivoluzione filosofica tentata dal suo autore, risoluto a conferire forma e dignità enciclopediche alle tesi già svolte nella Fenomenologia e nella Scienza della logica.

Fra queste si segnala, all’esordio dell’opera, lo status esclusivo riconosciuto alla filosofia che, rispetto alle altre scienze, non può «presupporre i suoi oggetti, come immediatamente dati dalla rappresentazione», «come già ammesso il metodo del conoscere»[13]. La filosofia non ha né può avere alcun inizio (Anfang): con essa si entra da subito nella sfera del sapere e del vero. E non vi è quasi scritto di Hegel in cui non sia ribadita la superfluità e, anzi, l’inadeguatezza di una simile Grundlage, che risulterebbe infondata, poiché esterna all’indagine filosofica e aliena alla comprensione del pensiero[14].

Precetto che, oltre a rispondere all’esigenza (antifondazionalista) di autogiustificazione della scienza filosofica, è teso a soddisfare il bisogno di libertà e di autonomia del sapere, soggiacente al progetto cultural-pedagogico hegeliano e destinato a trovare soddisfazione (e attuazione) nell’attività di insegnamento universitario e, appunto, nell’Enciclopedia. Hegel non era certo ignaro del processo di dipartimentalizzazione dei saperi che era in corso da tempo e che sempre più avrebbe caratterizzato l’evoluzione della cultura (il principio moderno della «divisione del sapere», complementare a quella «divisione del lavoro» pure da lui individuata come cruciale nello sviluppo della società); né respingeva il contributo recato dalla specializzazione scientifica figlia dell’Aufklärung e dell’Encyclopédie[15]; ma auspicava altresì l’attuazione di un modello olistico di sapere e di insegnamento, di contro alla formazione specialistica in «arti e mestieri», esito della stessa cultura illuministica e privilegiata dai regimi assolutisti settecenteschi nel governare l’educazione dei loro «sudditi» e «servitori».

Anche chi si accosti, fra le opere hegeliane, all’Enciclopedia si troverà pertanto subito immerso nel libero flusso della filosofia e nello sviluppo autonomo del concetto. Nel contenuto, cioè, che si svela attraverso la forma pura del pensare. Giacché per Hegel le cosiddette scienze empiriche ricevono i loro contenuti autentici dalle superiori scienze filosofiche: in primis dalla logica, la cui «rete adamantina» (diamantene Netz)[16] di categorie innerva l’intero edificio dell’essere e del sapere; e sussidiariamente dai due ambiti della Realphilosophie, la natura e lo spirito.

Questa è senz’altro la tesi più ardita dell’enciclopedia hegeliana, opposta alla convinzione che ha sorretto il pensiero filosofico-scientifico moderno fino a tutto il secolo dell’«altra», più illustre Encyclopédie, secondo la quale i fenomeni naturali sono da accogliersi in sé e da intendersi iuxta propria principia. Pur riconoscendo autonomia e dignità alle scienze, in ciò distanziandosi dalle «fantasie» e «fantasticherie» della Naturphilosophie[17], Hegel afferma che l’origine empirica del sapere scientifico è cosa ben differente dalla sua natura di Wissenschaft, ossia di sapere necessario – caratteristica che attiene esclusivamente al concetto, cioè al puro dominio del pensiero. Il quale, nella relazione con l’esperienza, è il prius e l’explicans, l’empiria costituendo per contro il posterius e l’explicandum[18].

Già altrove egli ha impietosamente rivelato il principale bersaglio della sua polemica epistemologica, imputando a Kant (il corifeo dell’illuminismo, «l’Aufklärung espressa teoricamente e fatta metodo»[19]) l’aver estremizzato il modello della relazione fra conoscenza e verità, in cui la prima è rappresentata dalla duplice metafora dello strumento (Werkzeug) e del medium rispetto alla seconda, intesa invece come oggetto e fine della conoscenza stessa. E ha liquidato la metafora in termini assai sbrigativi, indicandola quale causa prima dello scetticismo, ingenerante «una sfiducia nella scienza [ein Mißtrauen in die Wissenschaft]» il cui antidoto non può che risiedere nella «sfiducia in questa stessa sfiducia [Mißtrauen in dies Mißtrauen[20]. Con l’inevitabile decisione di rinunciare alla presunta datità degli oggetti, non più da concepirsi come Ob-jecte, o Gegen-stände (esterni e opposti al soggetto), bensì come interni al pensiero, Dinge (linguisticamente affini al Denken[21]) e anzi Sachen, cose che come cause ed essenze si svolgono, si dispiegano autonomamente, in maniera analoga alla stessa attività pensante: giacché «la conoscenza scientifica […] esige piuttosto che ci si abbandoni alla vita dell’oggetto o, in altri termini, che se ne abbia presente e se ne enunci la necessità interiore»[22] – e si tornerà a breve su questa concezione dinamica del reale, da parte di Hegel.

Nel prosieguo dell’Introduzione, il motivo è ripresentato in toni altrettanto polemici e certamente più sarcastici, laddove l’assurda pretesa di un esame preliminare, formale della conoscenza (per saggiarne l’idoneità strumentale al conseguimento della verità), viene comparata al «proposito di quello Scholasticus, di voler imparare a nuotare prima di cimentarsi in acqua»[23]. E liquidatorio, Hegel, si mostra anche in tale occasione, equiparando a una trama di meri inganni verbali il «tessuto di inutili presupposti, asserzioni e ragionamenti» cui inevitabilmente si ridurrebbe qualunque discorso prefilosofico[24].

Enunciata qui in termini assai sobri e come sulla soglia dell’Enciclopedia, l’insistita rinunzia a qualunque presupposto (oggetto o metodo) dell’indagine scientifica appare per un verso meno «scandalosa»[25] che nelle sue più appassionate formulazioni; per altro invece sembra assumere il valore di esergo e monito per il lettore (o uditore) delle lezioni hegeliane, il cui ordine espositivo – pare si voglia preliminarmente avvisare – seguirà il necessario svolgimento del pensiero, nulla accogliendo da fuori, tutto invece forgiando da dentro di esso.

Nelle pagine successive fino al § 6, centro e cuore dell’Introduzione – l’opera «produttiva» del Denken si dispiega e acquista una forza sempre maggiore, incoercibile nonostante i limiti imposti dallo stile didascalico e misurato dell’Enciclopedia[26]. Dopo aver ribadito la completa autoreferenzialità della filosofia che si rivolge non a un qualunque oggetto ma alla verità, Hegel precisa altresì che tale peculiare argomento coincide con quello di cui si occupa la religione, cioè con Dio (in quanto «Dio è la verità ed egli solamente è la verità»)[27]; per poi immediatamente sottolineare la differenza specifica del sapere filosofico rispetto a quello religioso[28], ossia il carattere concettuale della speculazione, superiore a quello rappresentativo dei miti e dei riti. È un punto, questo, già saldamente acquisito nella Scienza della logica, in cui la filosofia tout court, ossia la considerazione del pensiero nella sua purezza, viene assimilata all’ «esposizione di Dio come egli è nella sua eterna essenza prima della creazione della natura e di uno spirito finito»[29].

Sentenza hegeliana tra le più celebri che, integrata da quelle meno a effetto ma ugualmente esplicite dell’Enciclopedia («ciò che qui [nella religione] è dato in forma rappresentativa ed è in sé l’essenza bisogna comprenderlo nel suo proprio elemento, nel concetto: questo è il compito della filosofia»[30]), lascia intendere che «Dio» vi è assunto quale sinonimo di suprema verità, pensiero puro, non certo come sostrato rappresentativo. E la scienza della logica, perciò stesso, come teologia oltre che filosofia speculativa.

Qui, nell’Introduzione, «Dio» viene subito addotto quale primo e fondamentale esempio di rappresentazione (Vorstellung)[31], quasi ad anticipare il ruolo caratterizzante da questa svolto nella sfera religiosa dello spirito assoluto, ultimo dei principali circoli del sistema e dell’Enciclopedia. E a rivalutare, almeno rispetto alla Scienza della logica e alla Fenomenologia, tanto lo status della religione quanto quello della rappresentazione[32]: la tematica religiosa indagata sempre più a fondo sia speculativamente che storicamente (come attestano le Lezioni di filosofia della religione che Hegel inizia a tenere regolarmente dal 1821), per contrastare – fra l’altro – le posizioni romantiche tendenti a legare la fede al puro sentire; la dimensione rappresentativa elevata a maggiore dignità rispetto a quella ascrittale nella Prefazione della Fenomenologia, dove la Vorstellung veniva assimilata alla condizione doxastica del «noto» (bekannt), e perciò nettamente contrapposta a quella epistemica e concettuale del «conosciuto» (erkannt)[33], sulla scorta del dualismo apparenza/realtà entro cui si è svolta l’intera parabola onto-gnoseologica da Platone a Kant e che Hegel intende però rivisitare[34].

Proprio sul filo di una rimeditata distinzione tra concetto e rappresentazione si snoda la serrata esposizione dell’Introduzione, tesa a ridurre l’intera esperienza del sapere al concetto e al suo automovimento, e a fornire una sorta di esemplificazione del processo del logico (das Logische), già reso oggetto di trattazione nella Scienza della logica[35]; e di prolessi della dinamica interna al più ampio e articolato sviluppo dell’Enciclopedia. Riduzione che però non è rivolta – come nella Prefazione della Fenomenologia – «contro» il noto (gegen dies Bekanntsein gerichtet)[36] e il contenuto rappresentativo, a esclusivo vantaggio della conoscenza intellettiva (e a richiamare l’anabasi dal fondo buio della caverna platonica verso la luce esterna), sibbene a comprenderli nella più inclusiva nozione di pensiero (Denken), il cui potere produttivo o reificante consente che la forma si faccia contenuto – ossia, nelle sequenze più «sconcertanti» dell’Enciclopedia, che la logica «divenga» natura e che la filosofia «produca» le scienze empiriche[37].

Hegel muove dalla banale (trivial) constatazione che tutto quel che è umano è tale solo per via del pensiero; e che anche quel che inizialmente non pare essere tale alla fine non può che rivelarsi attività pensante, proprio in quanto umana[38]. Che il Denken sia prerogativa dell’uomo è tesi più volte ribadita nel corso dell’Enciclopedia[39] e avente la sua «sistematica» giustificazione nella sezione dedicata allo spirito soggettivo, proprio laddove l’esposizione enciclopedica trapassa dall’ambito della natura a quello dello spirito, segnatamente attraverso l’individuo umano, che Hegel colloca oltre il dominio naturale delle altre individualità animali[40]. Pertanto, tutto quel che rientra nell’ambito della coscienza umana (Gehalt des Bewußtseins) e che cronologicamente appare (erscheint) dapprima come sentimento, intuizione (Anschauung) e rappresentazione, deve però essere pensiero, proprio in quanto contenuto umano. Ancorché diverso da quello filosofico, che è forma generale del Denken in tutte le sue diverse specificazioni (sentimentali, intuitive e rappresentative)[41].

È così asserita l’unicità del pensiero, in sé (an sich) considerato, contrapposta alla varietà delle forme che assume nella coscienza umana. È altresì indicata la reale direzione del movimento che si svolge tra pensiero e rappresentazione, contraria a quella apparente e cronologica: dall’unico, originario Denken, cioè, alle sue diverse forme derivate, e non già – come parrebbe – da queste ultime, intese come dati o presupposti sensibili, alla loro forma concettuale. Proprio perchè esiste tale attività di pensiero «latente», contrapposta a quella rappresentativa «manifesta», si impone l’esigenza della filosofia, il cui compito per Hegel non consiste in altro che nel «mutare le rappresentazioni in pensieri, – ma certamente anche i semplici pensieri in concetti»[42]: fare emergere la nervatura concettuale di tutto ciò che è propriamente umano, letteralmente «scorticandolo», ossia privandolo del cortice empirico che lo avvolge e lo nasconde.

Poco oltre, laddove è perentoriamente ribadita la precipuità della filosofia in quanto unica attività con cui «il contenuto autentico della nostra coscienza […] viene posto nella sua propria luce», e dove si rivendicano «lo studio, apprendimento e fatica» che essa esige da chi intenda praticarla (non meno delle altre scienze e degli stessi mestieri[43]), il verbo impiegato per descrivere l’opera filosofica di traformazione delle rappresentazioni (e dei sentimenti) nei pensieri e nei concetti è «tradurre» (übersetzen), che sembra davvero rinviare alla stessa dimensione «linguistica» a cui è pure da ascrivere il sintagma «metafore di pensieri e concetti [Metaphern der Gedanken und Begriffe]», previamente utilizzato da Hegel per designare le rappresentazioni[44].

Il passaggio (la «traduzione») dalla metafora rappresentativa alla pura forma concettuale corrisponde dunque alla sequenza cronologica del conoscere, cui la filosofia concorre in maniera risolutiva svelando la reale costituzione delle cose. In modo analogo, Hegel prosegue, si deve procedere nella considerazione delle scienze empiriche e nella determinazione del loro rapporto con la filosofia: si parte cioè dalle prime per giungere alla seconda, che tuttavia è spiegazione di quelle, esibendone le categorie necessarie e universali[45]. Pertanto, il processo reale (non più cronologico, bensì logico) è quello inverso, che si svolge «secondo la necessità della cosa stessa [nach der Notwendigkeit der Sache selbst]», muovendo dalla sostanza del concetto e pervenendo alle sue metafore sensibili[46].

Movimento che, certo, si giustifica esclusivamente alla luce dell’esigenza di comprensione umana, finita, della verità, la quale di per sé non necessita di alcuna reificazione (la sua autocinesi – e autopoiesi – afferendo alla mera dimensione concettuale, la cui Darstellung viene offerta nella logica), e che proprio dovendo apparire al soggetto finito richiede i media in cui farlo, ossia le forme sensibili e storicamente tràdite in cui la struttura profonda del vero («la rete adamantina») tende a sedimentarsi, a partire dal linguaggio («è nel nome, che noi pensiamo»[47]) per giungere alle altre figurazioni «culturali» dello spirito oggettivo e dello spirito assoluto, almeno nelle sue declinazioni artistiche e religiose. Così, per esempio, il termine «Dio» è reificazione, come lo sono parimenti l’incarnazione in Cristo e la sua raffigurazione in un dipinto o nel crocifisso; ma lo stesso vale anche per i termini e i concetti «etici» quali «diritto» e «dovere» (Pflicht), e le loro specifiche determinazioni[48].

Di mezzo, tra la logica e la filosofia dello spirito, trova la propria ragion d’essere anche il «circolo» della natura, con cui l’idea (il vero, il logos), nell’atto del conoscersi – attraverso il sapere umano – si «media» e si presuppone come totalità data, come «universo esterno» (äußerliches Universum)[49].

Si riconosce qui ancora più nitidamente l’intuizione fondamentale, la potente visione che sorregge e illumina l’intera filosofia di Hegel. Secondo la quale il pensiero come razionalità pura, ossia come concetto (o, meglio ancora, come concepire o comprendere: begreifen[50]), lungi dal condensarsi entro l’attività mentale del singolo cogito cartesiano, oppure dal rarefarsi nella funzionalità intersoggettiva dell’io penso kantiano (i due estremi dell’excursus filosofico moderno), viene a coincidere con l’effettualità (Wirklichkeit), che è tale perché operante, attiva (wirken) e, al .suo massimo grado, pensante. Essa si fa, diviene «mondo» – nel senso che si pone come soggetto e al contempo come oggetto – perché il comprendere è la sua intima natura ed essenza. Nell’esperienza finita umana l’oggetto è dato, presupposto, contrapposto (Ob-ject) al singolo soggetto che lo comprende; ma nella dimensione infinita del puro comprendere soggetto e oggetto si uniscono, a formare l’idea che è appunto unione di concetto e realtà[51]. Allorché la razionalità umana perviene attraverso il concetto alla verità e al sapere, essa di fatto non scopre altro che se stessa nel mondo.

Quando dunque Hegel afferma che l’universale si particolarizza nell’io[52] intende esattamente questo: che il pensiero, cioè, «produce» la realtà. Più che di autentica «poiesi», tuttavia, si è qui in presenza di una fatale «agnizione»: la ragione, il pensiero puro, attraverso la coscienza finita, riconosce se stessa nel mondo – è bei sich selbst[53]. Hegel è cioè del parere che se si comprendono le cose (per esempio i teoremi di Euclide, o i processi vitali di un organismo vegetale o animale, o i costumi e le norme della propria società – o, ancora, se si conosce veramente una lingua), ciò è possibile perché fondamentalmente si è quelle cose[54]. Giacché egli ritiene che, in senso proprio ed eminente, l’intera realtà o effettualità sia nel suo intimo configurata e operi in maniera analoga alla mente umana, prima ancora che all’organismo vivente[55].

Realtà e razionalità si equivalgono, dunque. Tesi hegeliana fra le più ardite e fraintese, enunciata già nella Prefazione ai Lineamenti (1821) e richiamata anche nell’Introduzione dell’Enciclopedia, proprio per precisarne il significato e per fugarne ogni ambiguità[56]. Con essa il filosofo non intende certo asserire che razionale (vernünftig) sia «qualsiasi cosa balzi in mente, l’errore, il male e cose simili, come pure qualsiasi esistenza per quanto minima e provvisoria»; né «il contingente» (das Zufällige) o «l’essere determinato» (Dasein)[57] – a riprova del fatto che Hegel è ben distante dal riconoscere l’assoluta convertibilità tra essere e pensiero. Come infatti il sensibile umano (il fondale intuitivo e rappresentativo della coscienza), pur rientrando nella sfera del Geist, non può dimorarvi a pieno titolo (al pari, cioè, dei pensieri e dei concetti), così anche nella più vasta dimensione del reale i dati meramente empirici e contingenti, gli «errori» (inclusi quelli naturali, le creature teratomorfe [Mißgeburten][58]) e le altre «cose simili» eccedono il dominio della razionalità, la quale coincide esclusivamente con l’effettuale, ossia con il divenire e con l’operare necessario, «logico» delle cose – per esempio con la specie umana nelle sue autentiche determinazioni, non con le manifestazioni parziali o difettive di essa.

L’Erfahrung hegeliana – che, diversamente da quella kantiana, non si contrappone al mondo in quanto esperienza di esso da parte della coscienza, ma è il mondo stesso in quanto «esperienza della coscienza»[59] – trova compimento e giustificazione proprio nell’equazione fra razionale ed effettuale, con la quale è fondata la circolarità del conoscere che è alla base della stessa possibilità della scienza (Wissenschaft), così come anche dell’ideale enciclopedico del sapere[60]. Dall’enunciazione del «principio dell’esperienza» (das Prinzip der Erfahrung), secondo il quale, «perché si possa accogliere e ritenere vero un contenuto, l’uomo stesso deve essere presso di esso […] con i suoi sensi esterni o con il suo spirito più profondo»[61], l’esposizione dell’Introduzione procede a derivare da qui la necessità della mediazione (Vermittlung) del sapere di contro alle pretese di immediatezza (Unmittelbarkeit), e di conseguenza anche l’indispensabile suo carattere sistematico, da Hegel concepito come alternativo all’intuizione metafisica dell’assoluto: quest’ultima, infatti, si assume immediatamente come principio dell’indagine, laddove il sistema si mostra solo al termine, come risultato (Resultat) dell’esposizione[62].

Anche nelle singole scienze empiriche, Hegel osserva, si è alla ricerca del razionale (ossia l’universale e il necessario) nell’effettuale, al punto che talora si è voluto, specie da parte britannica, assegnare il nome di «filosofia» a indagini fin soverchiamente prossime al sensibile[63]; così come, da parte tedesca, si è stati fin troppo proclivi ad ascrivere carattere «scientifico» a considerazioni prettamente ideali e filosofiche – quando non a mere «fantasie» e «fantasticherie» poetiche, si è già ricordato. E proprio mentre rivendica il ruolo assolutamente autonomo della «considerazione pensante degli oggetti [denkende Betrachtung der Gegenstände[64], cioè della filosofia, rispetto alle altre forme di conoscenza scientifica, subalterne a quella, Hegel prende fermamente distanza dalla Naturphilosophie di Schelling e di Goethe (soprattutto, dai loro epigoni), che invece tendono a confondere i piani, ideale ed empirico.

La filosofia della natura hegeliana, elaborata in gran parte dopo la prima edizione dell’Enciclopedia, ancorché esito di un percorso di approfondimento e di aggiornamento iniziato a Jena e mai veramente interrotto, non intende affatto essere una «fisica speculativa». Essa costituisce semmai la scienza filosofica che presiede alle diverse indagini naturali, le quali richiedono tuttavia di essere condotte dalle singole scienze empiriche (ciascuna dotata di un proprio oggetto – i propri «dati» – e di un proprio metodo, a differenza della filosofia che, come si è detto, ne è priva del tutto)[65]. Con queste, la filosofia della natura stabilisce quel rapporto di virtuosa circuitazione che il concetto (il pensiero) si è già visto intrattenere con la rappresentazione (la realtà), il primo giustificando la seconda e reificandosi in essa, questa per converso fornendo i materiali empirici, i media rappresentativi a quello. Così che il necessario e l’universale, che pure rilucono nelle singole scienze (nelle loro leggi, formule, categorie ecc.), ottengono più adeguata collocazione, analisi e discussione nel «circolo» della filosofia della natura; e le forme astratte del pensiero trovano applicazione nella realtà empirica.

Alla fine dunque la filosofia, in quanto razionalità pura (in quanto cioè logica), declinata nelle sue basilari articolazioni della filosofia della natura e dello spirito, così come nelle ulteriori «scienze filosofiche» in cui queste a loro volta si scindono (la meccanica, la fisica, l’organica e i loro ambiti più specifici; ma anche l’antropologia, la fenomenologia, la psicologia, e ancora, risalendo dalle determinazioni soggettive dello spirito a quelle oggettive, il diritto, la moralità, l’eticità ecc.), viene a comprendere entro le proprie maglie concettuali l’intera effettualità[66]. E la scienza, da mero aggregato (Aggregat) quale si era rivelata essere in modo paradigmatico nell’Encyclopédie – o nel Système de la nature (1770) del barone d’Holbach -, assume finalmente la forma di vero sistema (da synistēmi: «sto insieme»), ossia di organismo nel quale il sapere coincide con la totalità del reale – prende cioè la forma di vera enciclopedia[67].

Entro tale concezione olistica trova soluzione anche la Anfangfrage sollevata all’inizio dell’Introduzione, il problema cioè di un «principio» della scienza che tuttavia può darsi, propriamente, solo all’interno di una visione lineare, appunto aggregativa dei saperi, ed è invece escluso dal modello organicistico hegeliano e dalla sua struttura circolare, le cui «sfere» concorrono con pari dignità e diritto alla legittimazione dell’intero[68]. Analogamente a come, da Copernico in avanti, il sistema eliocentrico «si tiene» come un tutto entro il quale le varie conoscenze (la fisica di Galilei e di Newton, oltre alle leggi di Keplero) si integrano alla perfezione, con-validando perciò stesso il sistema (e dunque la terra non ha più bisogno di un «principio» per giustificare il proprio moto di rivoluzione attorno al sole), così anche il sistema enciclopedico proposto da Hegel ha in sé la propria legittimazione o ragion d’essere, «costruendosi» come scienza e al contempo come mondo[69].

Il fuoco orbitale dell’enciclopedia hegeliana è la logica, ora non più «regno delle ombre» (Reich der Schatten)[70], bensì centro irradiante dell’intero sistema la cui dinamica interna, così come quella specifica dei singoli circoli, riproduce il movimento del logico (das Logische), dal positivo o astratto al negativo o dialettico e allo speculativo o positivo-razionale[71]. Sequenza processuale nella quale trova codificazione e composizione la tensione drammatica del pensiero, a cui Hegel espressamente allude menzionando l’appagamento (Befriedigung) finale del concetto nel ritorno a sé, dopo aver vissuto la separazione originaria del giudizio (Ur-Teil) ed essersi reso oggetto a se stesso[72]. Nei termini dell’Enciclopedia, tale separazione (Trennung) assume in prima ed «enigmatica» istanza i tratti reificati della natura, in cui l’intero, cioè l’idea, si rende altro da sé (Anderssein) senza perciò annullarsi, la negazione essendo «superata» (o «tolta», nel senso del famigerato aufheben) dal ritorno dell’idea in sé e dall’avvento dello spirito[73].

Dove il processo è da leggere non in termini poietici, né emanazionistici o creazionistici, ma piuttosto giustificativi, nel senso immanentistico che già si è provato a lumeggiare relativamente al rapporto fra concetto e rappresentazione: la logica, cioè, precede la natura (e lo spirito), essendone al contempo la spiegazione ultima, senza che tale anteriorità del prius logico implichi alcuna effettiva «creazione» o «emanazione» del posterius naturale e spirituale[74]. Ne risulterebbe così legittimata, e perciò sottratta all’enigma o «mistero»[75], la sequenza prescelta da Hegel nell’esposizione enciclopedica (e quindi anche didattica, è bene ricordare) del sistema filosofico, ancorché i tre paragrafi conclusivi – il «pinnacolo supremo»[76] – dell’intera Enciclopedia lascino intendere[77] l’interversibilità delle tre serie concepibili (logica-natura-spirito; natura-spirito-logica; spirito-logica-natura), ciascuna costituente un sillogismo (Schluß) dell’idea articolato nelle tre fasi del movimento logico dell’inizio (Anfang), del procedere (Fortgang) e della fine (Ende). A ribadire, in chiusura d’opera come già nell’Introduzione, la piena organicità dell’intero, le cui singole parti non solo non possono essere «astratte», cioè scorporate, ma nemmeno ordinate in modo univocamente seriale.

 

«Poemi della ragione». Così Giacomo Leopardi, allineandosi ad altri commentatori dell’epoca, etichetta le «caliginose» astrusità filosofiche «dell’alemanna gente», indotta dalla propria «vita ritirata e indefessamente studiosa» a recidere ogni legame non solo «dagli uomini o dalle opinioni altrui, ma anche dalle cose». Incapace, sempre secondo il giudizio del Recanatese, di «vere e sode scoperte sulla natura e sulla teoria dell’uomo, de’ governi ec. ec.», a differenza degli inglesi (Bacone, Newton e Locke), dei francesi (Rousseau e Cabanis) e degli stessi italiani (fra i quali egli menziona Galilei e Filangieri)[78].

E non v’è dubbio che la filosofia idealista avesse immediatamente destato e diffuso parecchio sconcerto, al pari (se non più) di altre radicali novità venute dalla Germania fra Settecento e Ottocento, nella letteratura così come nella musica e nella pittura[79]. Disorientando gli stessi cultori della disciplina filosofica e turbando le coscienze dei teologi – con i quali Hegel non cessò mai di polemizzare, talora aspramente[80]; e inoltre suscitando reazioni indignate fra gli scienziati, smaniosi di emanciparsi dal dominio anche universitario della filosofia[81]. Di lì a pochi decenni, trascorsa la metà del secolo, la scienza avrebbe definitivamente scalzato la «matrigna» nel ruolo di potenza egemone del sapere, relegandola a un ruolo culturalmente e accademicamente sempre più marginale.

Leopardi – che solo la più miope delle storie non annovererebbe tra i maggiori pensatori di ogni tempo – coglie precisamente nel segno quando contrappone in maniera così netta i filosofi tedeschi (in cui comprende anche Kant con la sua Critica della ragione [sic][82]) all’intera tradizione moderna, da Bacone e Galilei fino a Locke e all’illuminismo. Giacché davvero l’idealismo e, più di tutto, il pensiero di Hegel, intende essere la confutazione di questo – e l’Enciclopedia attesta in maniera inequivocabile tale marcata intenzione, specie con la sua Introduzione e con quel Concetto preliminare (Vorbegriff) della logica che, insieme, costituiscono la sintesi ultima della filosofia hegeliana.

Se infatti la modernità filosofica era iniziata sotto il segno dei dualismi (Entzweiungen) e delle scissioni di cui Descartes può senz’altro essere ritenuto l’artefice primo e principale, in virtù della radicale polarità fra soggetto e oggetto assunta a fondamento della sua concezione onto-gnoseologica, ed era poi inevitabilmente pervenuta alle posizioni scettiche dischiusesi in seno all’empirismo britannico, l’impresa tentata da Hegel e compendiata nell’Enciclopedia è rivolta all’opposta finalità della riconciliazione (Versöhnung) fra uomo e mondo – e fra uomo e Dio, individuo e società, mente e corpo ecc[83].

Ripensare la realtà, per Hegel, significa ri-comprenderla nella sua interezza, nell’unica prospettiva (infinita) che la sottragga ai limiti della conoscenza e alla relatività del giudizio umani, riconciliando l’uomo con l’intero di cui alla fine si rivela essere non già semplice parte, ancorché «peculiare» (roseau pensant)[84], né creatura privilegiata (come nella visione biblica e medievale), bensì il nucleo più esemplificativo: l’elemento cioè che in sé, nelle sue funzioni essenziali e, in primis, nel pensiero, sintetizza il tutto, analogamente a come un organismo vivente incarna in sé la vita. Il pensiero (il soggetto) così inteso non viene più contrapposto alla realtà (l’oggetto), ma ne risulta essere anzi l’espressione più autentica. L’uomo hegeliano non è più «scisso» dal mondo: esso è il mondo.

Un simile tentativo di totale ri-comprensione della realtà esige per Leopardi, oltre a «un sapere immenso, una cognizione quasi […] intera e perfetta di tutte le cose che sono e che furono», anche un’eccezionale capacità immaginativa, per cui i tedeschi «non sanno essere originali se non sognando». Da qui, appunto, la loro «razionale poesia», il fatto – piuttosto paradossale – che «laddove le altre nazioni tutte filosofano anche poetando, i tedeschi poetano filosofando»[85]. Annotazioni certo assai brevi e tuttavia efficaci nel restituire l’essenziale dell’impresa dell’idealismo tedesco, con quei riferimenti incredibilmente puntuali ai tratti olistici e sistematici di esso («comprensione intera e quasi perfetta»), alle sue istanze speculative e al contempo storicistiche («di tutte le cose che sono e che furono»), e ancora alla – almeno per Hegel – imprescindibile «fatica» del concetto e della filosofia («padroni della realtà per forza del loro studio»[86]). E, al contempo, nel porre in risalto l’originalità e la visionarietà[87] («non sanno essere originali se non sognando»), ossia il tentativo di riguadagnare da parte tedesca un orizzonte di pensiero premoderno, per certi aspetti prefilosofico, quasi poetico rispetto alle fredde determinazioni dell’intelletto raziocinante[88].

Tale sembra essere stato anche il gesto di Hegel: un sorprendente ritorno al passato ellenico, aristotelico o neoplatonico, compiuto però con la piena consapevolezza dell’intellettuale «uscito» dalla modernità. «Uscito», sia nel senso di essersi posto alle spalle il modello gnoseologico «rappresentativista» affermatosi a partire da Descartes, sia di aver fatto propria – e aver elevata a dignità ancora maggiore – la lezione di Montesquieu, di Lessing e di Herder, che la verità è nella storia, e non prima o fuori di essa, e che la modernità stessa è un capitolo essenziale, anche se non conclusivo, di quella storia[89].

L’autarchica e «narcisistica contemplazione»[90] dell’intero, espressa attraverso la nozione-immagine del «pensiero di pensiero» (noēsis noēseōs), da Hegel evocata in guisa di explicit dell’Enciclopedia attraverso il testo originale della Metafisica[91], non deve infatti trarre in inganno ed essere interpretata come stasi che sopravviene tombalmente al divenire, raggelante – nella sua atemporale fissità – il drammatico e continuo «farsi» del vero. L’apparente monoliticità dell’Enciclopedia è compensata dalla fluidità e storicità della concezione hegeliana del reale, già evidente nella Fenomenologia e poi caratterizzante l’intera fase di insegnamento a Berlino, come attestano le Vorlesungen. Proprio la dimensione storica emerge anzi quale tratto distintivo del sistema scientifico hegeliano, se raffrontato con i precedenti settecenteschi, dal Systema naturae (1735) di Linneo al «progetto» architettonico abbozzato da Kant nella Dottrina trascendentale del metodo[92].

Per Hegel non sembra insomma valere il detto dell’Apocalisse: tempo più non c’è[93]. Per lui il sistema è come il Denken/Begriff, struttura che ha il suo essere nel divenire[94]. In quel processo, cioè, che non ha fine né nella storia, né nella filosofia, ma è anzi consustanziale a questa, così che essa non può concepirsi se non come storia del pensiero, il cui carattere «occidentale» (greco, cristiano e germanico) è destinato ancora a mutare per «compiersi», e il cui volo notturno o serotino (Abendland)[95] ha necessità di rinnovarsi – non già di ripetersi identico – infinite volte[96].

 

 

Gianluca Riccadonna

[1]Enciclopedia, Prefazione alla I edizione (W 8, 10).

[2]Ibidem. Dove è anche ribadito che «il bisogno di mettere a disposizione degli uditori un filo conduttore [Leitfaden] per le […] lezioni filosofiche […] è stato il motivo più prossimo per pubblicare […] questo prospetto sull’intero ambito della filosofia»; il frontespizio dell’opera recava (come anche nelle successive due edizioni), dopo il nome dell’autore, l’indicazione «Ad uso delle sue lezioni». La prima versione dell’Enciclopedia fu stesa da Hegel «in poche settimane», dopo la sua venuta a Heidelberg da Norimberga: cfr. C. Cesa, Profilo biografico, in Id. (a cura di), Guida a Hegel, Laterza, Roma-Bari 1997, p. 321. Per una sintesi della vita di Hegel si veda qui infra la Nota biografica.

[3]Citato in R. Bodei, La civetta e la talpa. Sistema ed epoca in Hegel, il Mulino, Bologna 2014[1975], pp. 240-241.

[4]Hegel(?), Schelling(?), Hölderlin(?), Il più antico programma di sistema dell’idealismo tedesco, a cura di L. Amoroso, ETS, Pisa 2009[2007], p. 25. Per il dibattito intorno alla reale paternità di questo autografo hegeliano cfr. ivi, pp. 7-14; e p. 30 n. 1. Si veda anche R. Bodei, Scomposizioni. Forme dell’individuo moderno, il Mulino, Bologna 2016[1987], p. 103 n. 28.

[5]I. Kant, Critica della ragion pura, trad. a cura di G. Gentile e G. Lombardo Radice, Laterza, Bari 1966[1909/10], p. 629: «l’unità sistematica è ciò che prima di tutto fa di una conoscenza comune una scienza, cioè di un semplice aggregato d’essa un sistema». Sugli antefatti kantiano-idealisti dell’enciclopedia hegeliana cfr. C. Cesa, Introduzione a G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, cit., pp. XVII-XXVIII.

[6]Fenomenologia, p. 49 (W 3, 62): «[…] vediamo come la rivelazione immediata del divino e il sano buon senso […] si reputino senz’altro un perfetto equivalente e un surrogato altrettanto buono del lungo cammino della formazione culturale […], quasi al modo in cui si decanta la cicoria come surrogato del caffè».

[7]Enciclopedia, Prefazione alla I edizione (W 8, 11). È Cesa ad aver sottolineato l’importanza tributata da Hegel a Jacobi – in funzione apertamente antischellingiana – quale precursore dell’atteggiamento «speculativo»: cfr. Introduzione, cit., pp. XXXIII-XXXVII. Spekulativ (lat. speculor) diviene voce «positiva» proprio con Hegel (e con Schelling), a designare appunto una forma di conoscenza superiore: cfr. H. Schnädelbach, Hegel zur Einführung, Junius, Hamburg 1999, p. 15 (trad. a cura di F. Ferraresi, Hegel, il Mulino, Bologna 2002, p. 19).

[8]Cfr. V. Verra in Introduzione a G.W.F. Hegel, La scienza della logica, cit., pp. 10-11. Va almeno ricordato che Gottlob E. Schultze, autore del celebre Aenesidemus (1792), aveva pubblicato una Enzyklopädie der philosophischen Wissentschaften zum Gebrauch für seine Vorlesungen (1814).

[9]Enciclopedia, Prefazione alla II edizione (W 8, 29-30). Il «bisogno di filosofia», assunto come centrale nella riflessione hegeliana già fin dalla Differenza (1801), viene ripreso qui e poi ancora richiamato nei §§ 4 e 11 infra.

[10]Enciclopedia, Prefazione alla II edizione (W 8, 30): «Poiché il contenuto è sempre giovane [denn der Gehalt selbst ist ewig jung]». Alla freschezza del contenuto è contrapposta la rigida vetustà della forma (Gestaltung) filosofica, sempre seriore e serotina (come la «nottola di Minerva» evocata in Lineamenti, Prefazione, p. 14 – W 7, 23), e proprio per questo di per sé adatta al «bisogno» dei moderni, ancorché già còlta come fondamentale dagli antichi, «da Platone e molto più profondamente da Aristotele» (ibidem). Nell’Aggiunta a Enciclopedia § 237 (W 8, 388), l’idea filosofica compiuta è paragonata «al vecchio che pronuncia le medesime frasi religiose del bambino, ma per lui queste frasi hanno il significato dell’intera sua vita. Anche se il bambino capisce il contenuto religioso, per lui questo vale solo come qualcosa all’esterno del quale si trovano ancora l’intera vita e il mondo intero».

[11]Enciclopedia, § 15 (W 8, 59): «L’intero si presenta perciò come un circolo di circoli [ein Kreis von Kreisen], ciascuno dei quali è un momento necessario, così che il sistema dei loro elementi peculiari costituisce l’intera idea, che a sua volta appare in ogni singolo». Sul circolo come «schema» dell’intero, del pensiero e della filosofia si veda già Fenomenologia, pp. 14-15 (W 3, 22). Con Hegel, e prima ancora con Fichte, la circolarità diviene, da vizio del sapere, sua virtù elettiva: cfr. D. Souche-Dagues, Le cercle hégelien, Presses Universitaires de France, Paris, 1986, pp. 37-40.

[12]Enciclopedia, § 574 (W 10, 392): «La verità che sa [die wissende Wahrheit]».

[13]Enciclopedia, § 1 (W 8, 40).

[14]Fenomenologia, p. 3; pp. 57-58 (W 3, 10-11; 3, 67-68); Scienza della logica, p. 23 (W 5, 34). Il motivo antifondazionalista è presente sin dalle prime opere, a partire già dalla Differenza in cui viene criticata die Begründungs- und Ergründungstendenz di chi (come per esempio Karl L. Reinhold) si affanna nella ricerca di una verità originaria, a cui Hegel contrappone la convinzione che «la scienza afferma di fondarsi su se stessa in quanto essa pone assolutamente ogni sua parte e costruisce perciò nel cominciamento [Anfang] ed in ogni singolo punto una identità e un sapere. Come totalità oggettiva il sapere si fonda sempre di più nella misura in cui più si forma, e le sue parti sono fondate solo contemporaneamente a questo intero delle conoscenze. Centro e circonferenza sono in rapporto reciproco in modo che il primo inizio della circonferenza è già in rapporto al centro, e questo non è un centro completo, se non sono stati completati tutti i suoi rapporti, l’intera circonferenza»: cfr. Differenza, pp. 100-101 (W 2, 121).

[15]Cfr. R. Bodei, La civetta e la talpa, cit., p. 350 n. 127: «La differenza tra il modello dell’enciclopedia hegeliana e quello della grande enciclopedia francese credo si possa trovare in una frase di d’Alembert in cui si dice che l’intenzione dell’opera è quella di mostrare ‘per quanto è possibile, l’ordine e la concatenazione delle conoscenze umane’ […]. ‘Per quanto è possibile’, appunto, lasciando, dove non lo sia, vuoti residui». Hegel intende per contro colmare tutti i vuoti.

[16]Enciclopedia, § 246, Aggiunta (W 9, 19).

[17]Già Madame de Staël aveva osservato, riguardo all’atteggiamento culturale dei tedeschi rispetto alle scienze naturali, che «gli scienziati penetrano la natura con l’aiuto della fantasia [à l’aide de l’imagination]» e che «i poeti trovano nelle scienze la vera bellezza dell’universo», concludendo che «gli eruditi arricchiscono i poeti di memoria e gli scienziati li arricchiscono di analogie [par les analogies]»: cfr. De l’Allemagne, Nicolle, Paris 1818[1813], IV, p. 69 (trad. a cura di A. Caporali, La Germania, De Silva, Torino 1943, p. 498). Hegel, puntualmente, parla in modo critico della Phantasie, Phantasterei, e delle Analogien di chi, nella filosofia, fa aggio sulla rappresentazione (Vorstellung) e sull’intuizione (Anschauung): cfr. Enciclopedia § 246, Annotazione (W 9, 14-15).

[18]Enciclopedia, § 246, Annotazione (W 9, 14).

[19]G.W.F. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, trad. a cura di E. Codignola e G. Sanna, La Nuova Italia, Firenze 1930/45, III, p. 311 (W 20, 108).

[20]Fenomenologia, Introduzione, p. 59. (W 3, 68). La metafora ottica del «medium» conoscitivo è di origine platonica ed è presente anche nel famoso versetto di I Cor. 13, 12: «Noi ora vediamo come per mezzo di uno specchio, in enigmi; allora invece vedremo faccia a faccia [blepomen gar arti di’esoptrou en ainigmati, tote de prosopon pros prosopon]», talora evocato in sede di discussione gnoseologica (per esempio da G. Bruno, De la causa, principio et uno, in Id., Opere italiane, a cura di N. Ordine, Utet, Torino 2002, vol. I, p. 648). Hegel vi ricorre ancora più esplicitamente laddove accosta alla concezione strumentale del conoscere l’altra, complementare, per cui esso è «in qualche misura un mezzo passivo, attraverso il quale la luce della verità giunge a noi [durch welches hindurch das Licht der Wahrheit an uns gelangt], ma per come essa è attraverso ed entro questo medium»: ivi, cit., p. 57 (W 3, 67). Cfr. H. Schnädelbach, Hegel, cit., p. 48 n. 10 (trad. it. p. 50 n. 10).

[21]Scienza della logica, p. 26 (W 5, 37).

[22]Fenomenologia, Prefazione, p. 40. Cfr. R. Bodei, La vita delle cose, Laterza, Roma-Bari 2011[2009], pp. 14-17.

[23]Enciclopedia, § 10, Annotazione (W 8, 53).

[24]Ibidem.

[25]«Lo scandalo di Hegel sta tutto in questo paradosso, che ferisce tutta la tradizione filosofica: anziché identificare l’essere e il vero, egli enuncia che il nulla è la sostanza del vero»: L. Althusser, Du contenu de la pensée de G.W.F. Hegel (1947), Stock IMEC, Paris 1994, p. 51 (trad. it: Il contenuto in Hegel, a cura di C. Lo Iacono, Mimesis, Milano-Udine 2015, p. 89 n. 34). L’in sé delle cose, osserva Althusser, per Hegel «non è più un già lì, ma è un non ancora: è in quanto assenza, è in sé come incisione cava [en creux]» (ibidem). Basti ricordare che la Scienza della logica (e la logica dell’Enciclopedia) ha inizio con l’equiparazione dell’essere al nulla. Di discours scandaleux scrivono anche i commentatori dell’équipe guidata (alfabeticamente) da J. Biard et Al., Introduction à la lecture de la ‘Science de la logique’ de Hegel, I, Aubier, Paris 1980, p. 13. Il tratto eversivo del pensiero di Hegel risulta ovviamente attenuato agli occhi del lettore postmoderno, avvezzo tanto al motivo del «circolo ermeneutico» quanto al dibattito sui fondamenti del sapere.

[26]«Pegasus is put in harness»: così W. Wallace, The Logic of Hegel, Clarendon Press, Oxford 1975[1874], p. xxxi., a simboleggiare l’ottundente formalismo dei paragrafi dell’Enciclopedia, specie se comparati alla ben più «aerea» scrittura della Fenomenologia. La traduzione della ballata Pegasus im Joche si trova in F. Schiller, Poesie filosofiche, a cura di G. Moretti, SE, Milano 1990, pp. 89-93 (vi è narrata, in versi, la vicenda del «destriero delle Muse» ˗ allegoria del Bello o della Poesia ˗ venduto per pochi soldi a un villico che ne spregia le eteree virtù e lo aggioga, fino alla sua liberazione da parte di un più «ispirato» acquirente). Di «secchezza asseverativa» dei paragrafi dell’Enciclopedia scrive anche F. Chiereghin, Gli anni di Jena e la ‘Fenomenologia dello spirito’, in Guida a Hegel, a cura di C. Cesa, cit., p. 6.

[27]Enciclopedia, § 1 (W 8, 40).

[28]Ibidem. Si veda anche G W. F. Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia, cit., I, p. 94 (W 18, 100): «La filosofia ha lo stesso contenuto della religione, e differiscono soltanto le forme».

[29]Scienza della logica, p. 31 (W 5, 43).

[30]Enciclopedia, § 384 Annotazione (W 10, 29).

[31]In Enciclopedia § 20, Aggiunta (W 8 74-75) si distingue fra sensibile (ciò che è individuale e e in relazione ad altro) e concettuale (ciò che è universale e autoreferenziale); segue la distinzione fra rappresentazioni (per esempio Dio) e concetti o pensieri puri (per esempio causa); questi ultimi, scevri di ogni legame con il sensibile (Enciclopedia § 42, Aggiunta n. 3, W 8, 118), sono, in senso proprio, gli oggetti della filosofia intesa come «considerazione pensante» (= scienza della logica). Le rappresentazioni, dunque, si distinguono dalle mere percezioni ed esperienze sensibili per il fatto di condividere con i concetti i caratteri dell’universalità e dall’autoreferenzialità: cfr. M.J. Inwood, Hegel, Routledge&Kegan Paul, London 1983, pp. 9-11. Come tali, esse sono pensieri, ancorché impuri. Dio è inteso come esempio di rappresentazione come già in altri luoghi, fra i quali appunto la Prefazione della Fenomenologia, dove però viene menzionato all’interno di una sequenza esemplificativa di rappresentazioni che comprende anche soggetto, oggetto, natura, intelletto, sensibilità. Qui, nell’Introduzione, precede la natura e l’uomo, a esprimere (e anticipare) rappresentativamente i tre ambiti principali dell’Enciclopedia.

[32]Il riferimento a Dio costituisce uno dei numerosi elementi di novità della seconda edizione dell’Enciclopedia, la cui Prefazione riserva preponderante attenzione ai rapporti fra religione e filosofia. Hegel vuole qui tutelarsi dall’accusa di ateismo ribadendo l’identità di contenuto della filosofia e della religione, che tuttavia si distinguono per la forma; e lascia intendere che si può credere in Dio anche senza dimostrarne l’esistenza, così come ci si può nutrire senza conoscere i processi fisiologici che regolano la digestione: cfr. Enciclopedia, § 3 Annotazione (W 8, 44). L’autodifesa dall’ateismo, va pure osservato, non dipende da motivi di mera convenienza, bensì da ragioni genuinamente filosofiche: Hegel negli anni venti «ripensa» la filosofia cristiana, già oggetto delle sue Jugendschriften, apprezzandone sempre di più la rilevanza spirituale, prodromica o alternativa (almeno per i più: cfr. le Lezioni di filosofia della religione, trad. a cura di E. Oberti e G. Borruso, Laterza, Roma-Bari 1983, III, p. 88: «Religione è il modo con cui tutti gli uomini diventano consapevoli della verità») a quella filosofica, inevitabilmente riservata a pochi privilegiati, e pervenendo a una concezione religiosa mediana fra gli estremi rappresentati dalla trascendenza e, appunto, dal panteismo. Cfr. C. Cesa, Religione e filosofia, in Hegel. Guida storica e critica, a cura di P. Rossi, Laterza, Roma-Bari 1992, p. 159.

[33]Fenomenologia, p. 23 (W 3, 34).

[34]Si veda il saggio di T. Rockmore, German Idealism as Constructivism, The University of Chicago Press, Chicago 2016. A p. 11 si legge, programmaticamente: «as Kant reads Plato, the latter provides a problem to which the Copernican turn proposes a solution». Hegel avrebbe implementato la svolta copernicana di Kant (cfr. ivi, pp. 92-166).

[35]Das Logische è altra cosa rispetto a die Logik: il primo è il pensiero stesso formalmente considerato – das Denken als Form: cfr. Enciclopedia, § 2 (W 8, 41) – e, in quanto tale, è l’essenza del reale, come si chiarirà meglio in seguito; la seconda è la trattazione specifica di tale essenza. Cfr. A. Nuzzo, Logica, in Guida a Hegel, a cura di C. Cesa, cit., p. 41.

[36]Fenomenologia, ibidem.

[37]Cfr. A. Ferrarin, Il pensare e l’io. Hegel e la critica di Kant, Carocci, Roma 2016, pp. 156-157; sul tema della reificazione, cfr. ivi, 117-127.

[38]Enciclopedia, § 2 (W 8, 41).

[39]Cfr. per esempio Enciclopedia, § 5 (W 8, 45).

[40]Enciclopedia, §§ 464-472 (W 10, 282-294).

[41]Enciclopedia, § 2 (W 8, 41).

[42]Enciclopedia § 20, Annotazione (W 8, 72-73).

[43]Cfr. Enciclopedia, § 5 (W 8, 45): «Si concede che per confezionare una scarpa, si sia dapprima appreso a farlo e si sia fatta pratica, sebbene ciascuno abbia nel suo piede il criterio per ciò, e sia dotato di mani e, con esse, della naturale attitudine a compiere quel lavoro. Solo per fare filosofia non si ritiene sia richiesto altrettanto studio, apprendimento e fatica [Studium, Lernen und Bemühung]». Curiosamente, anche Husserl paragonerà il mestiere (Beruf) del filosofo a quello del calzolaio, per sottolinearne però la differenza e per ribadire la vocazione (Berufung) all’universalità della filosofia: «gli stivali dell’uno non sono quelli dell’altro, mentre la filosofia è soltanto una, se è veramente filosofia. Filosofia come conoscenza universale, fondata in modo definitivo» (ms. trans. BI 6, 1930-1933, cit. in E. Husserl, Il destino della filosofia, a cura di A. Ales Belli, Castelvecchi, Roma 2014, p. 13 n. 4).

[44]Enciclopedia § 3, Annotazione (W 8, 43). Cfr. E. Caramelli, Lo spirito del ritorno. Studi su concetto e rappresentazione in Hegel, il melangolo, Genova 2016, p. 57.

[45]Enciclopedia, § 9, Annotazione (W 8, 51) Si veda anche Enciclopedia, § 246, Annotazione (W 9, 14), dove si distinguono il costituirsi (Entstehung) e il formarsi (Bildung) di una scienza, ovvero il percorso (der Gang) e i lavori preparatori (die Vorarbeiten) di essa, dalla scienza stessa (die Wissenschaft selbst), dove «quelli non possono più apparire come fondamento, che qui deve essere piuttosto la necessità del concetto».

[46]Enciclopedia, § 12 (W 8, 55). Il corsivo è di chi scrive.

[47]Enciclopedia, § 462, Annotazione (W 10, 277). Con il linguaggio, con il lavoro e con i manufatti (e non solo nel Jaener Systementwürfe, ma pure nell’Enciclopedia, come testimonia fra l’altro l’elogio della mano, «strumento degli strumenti [Werkzeug der Werkzeuge]»: cfr. § 411, Aggiunta – W 10, 193), per la loro natura «ancipite», tale da renderli realtà interiori e, al contempo, esteriori, viene a manifestarsi nell’individuo umano la forma peculiare di spiritualità, strutturalmente tesa a mediare fra soggetto e oggetto, e, soprattutto, fra soggetto e soggetto, e dunque conferente una dimensione intrinsecamente sociale, «pratica» alla stessa individualità umana. Cfr. J. Habermas, Wahrheit und Rechtfertigung. Philosophische Aufsätze, Suhrkamp, Fankfurt a. M. 1999, p. 185 (Verità e giustificazione, Saggi filosofici, trad. a cura di M. Carpitella, Laterza, Roma-Bari 2001, p. 192): «Merito di Hegel è l’aver scoperto il ruolo epistemologico del linguaggio e del lavoro».

[48]Enciclopedia, § 20, Annotazione (W 8, 72). E prima ancora si veda Enciclopedia, § 2, Annotazione (W 8, 42), laddove si dice espressamente «che il pensiero in generale non è stato inattivo nella religione, nel diritto e nell’eticità, sia esso sentimento e fede oppure rappresentazione, e la sua attività e i suoi prodotti vi sono presenti e implicati».

[49]Enciclopedia, § 223 (W 8, 376).

[50]Cfr. A. Ferrarin, Il pensare e l’io, cit. p. 79.

[51]Enciclopedia, § 214 (W 8, 369).

[52]Enciclopedia, § 20 (W 8, 71). Cfr. J.N. Findlay, Hegel: a Re-examination, Allen&Unwin, London 1958, p. 24 (Hegel oggi, trad. a cura di L. Calabi, ISEDI, Milano 1976[1972], p. 32): «Dire: io esisto, o io penso, significa quindi semplicemente dire che degli elementi varianti sono raccolti insieme come in un unico cosciente fuoco o crogiuolo […] e che, in quanto così raccolti insieme, essi perdono i loro duri contorni e la loro casuale diversità, e diventano casi di un genere, o elementi costitutivi di un modello unificato». Si è già notato come, per Hegel, l’uomo universalizzi sempre, anche quando intuisce o percepisce: cfr. Enciclopedia, § 24, Aggiunta n. 1 (W 8, 82): «L’uomo dunque è sempre pensante, anche quando solamente intuisce [anschaut]».

[53]Cfr. A. Ferrarin, Ragione, in Filosofia classica tedesca: le parole chiave, a cura di L. Illetterati e P. Giuspoli, Carocci, Roma 2016, p. 23. Si veda anche H. Marcuse, Reason and Revolution. Hegel and the Rise of Social Theory, The Humanities Press, New York 1954[1941], p. 170 (trad. a cura di A. Izzo, Ragione e rivoluzione. Hegel e il sorgere della ‘teoria sociale‘, il Mulino, Bologna 1966, p. 191): «Per Hegel […] l’idea è reale e il compito dell’uomo consiste nel vivere in tale realtà. L’idea esiste come cognizione e vita».

[54]«Considerare una legge generale come qualcosa che non vogliamo sia diverso da come è significa pensarla come una regola con la quale ci identifichiamo, come il metodo nei cui termini spontaneamente pensiamo, o che spontaneamente applichiamo, e non come una legge ferrea che abbiamo scoperto operare fuori di noi, un’inviolabile quanto ineludibile barriera contro la quale cozziamo invano. […] chi diventa un matematico pensa in termini matematici quasi senza rendersene conto, e chi ha assimilato le regole della grammatica scrive correttamente senza sentirsi addosso il giogo di una spaventosa camicia di forza esterna fatta di regole e norme dispotiche. Se riusciamo a realizzare un rapporto di questo tipo con la natura, identificandoci consapevolmente con i suoi meccanismi in una maniera così stretta che le sue leggi coincidano con le regole e gli schemi dei nostri ragionamenti e volizioni e sentimenti, finiremo con l’attingere la visione dall’interno»: cfr. I. Berlin, Freedom and its Betrayal: Six Enemies of Human Liberty, Princeton University Press, Princeton 2002[1952], p. 98 (trad. a cura di G. Ferrara degli Uberti, La libertà e i suoi traditori, Adelphi, Milano 2011[2005], pp. 142-143).

[55]Cfr. M.J. Inwood, Hegel, cit., p. 26. Il primato della mente sull’organismo può senz’altro conciliarsi con la tesi di chi ritiene che, proprio in virtù dell’unione di soggetto e oggetto, dell’isomorfismo fra pensiero e realtà di cui si è detto, si possa riconoscere un più ampio, «sovrumano» operare del Denken hegeliano (un «pensiero oggettivo») in tutto ciò che è wirklich (per esempio nell’ellisse delle orbite dei pianeti così come nella struttura e nell’organizzazione anatomico-fisiologica dello scoiattolo), come A. Ferrarin, Il pensare e l’io, cit., pp. 19-21. Lo schema organicistico dell’universo, culminante nella primazia del nous, è di evidente derivazione aristotelica e neoplatonica. Cfr. G. Mure, An Introduction to Hegel, Clarendon Press, Oxford 1940 (trad. a cura di R. Franchini, Introduzione a Hegel, Ricciardi, Napoli 1954) e, più di recente, A. Ferrarin, Hegel and Aristotle, Cambridge University Press, Cambridge 2001.

[56]Lineamenti, p. 14 (W 7, 23); Enciclopedia, § 6, Annotazione (W 8, 46): «Quello che è razionale, è effettuale, e quello che è effettuale, è razionale [Was vernünftig ist, das ist wirklich, und was wirklich ist, das ist vernünftig]». Di seguito Hegel annota: «Queste semplici proposizioni a molti sono sembrate sconcertanti [haben manchen auffallend geschienen] e hanno incontrato ostilità [Anfeindung erfahren]», ibidem. Cfr. M. Pagano, Hegel: il soggetto e l’assoluto, in Soggettività e assoluto, supplemento di «Teoria» XXXV/2015/1, pp. 81-97: «Hegel ha pensato […] il tema della verità assoluta, affrontando nella maniera più radicale il nodo centrale della filosofia, che è il rapporto del pensiero con la realtà dell’esperienza; […]. Hegel ha osato in un certo senso l’impossibile, collocandosi proprio nel centro di questo rapporto tra il pensiero e l’essere; nessuna altra filosofia ha osato tanto […]. In questo consiste il nucleo incandescente del suo pensiero» (ivi, pp. 95-96).

[57]Enciclopedia, ibidem.

[58]Enciclopedia, § 250, Annotazione (W 9, 35).

[59]Come è noto, Scienza dell’esperienza della coscienza [Wissenschaft der Erfahrung des Bewußtseins] era il titolo originario, poi modificato da Hegel nel definitivo Fenomenologia dello spirito. Egli pervenne cioè, al termine del suo giovanile (e tormentato) «viaggio di scoperta» (Entdeckungreise), come volle più innanzi denominarlo, alla visione «spiritualista», o postcoscienzialista, entro cui la coscienza si compenetra con il mondo di cui è coscienza, e quest’ultima tende a dissolversi: cfr. A. Tagliapietra, Esperienza, Cortina, Milano 2016, pp. 166-167.

[60]Enciclopedia, § 6 (W 8, 46): «D’altra parte è altrettanto importante per la filosofia comprendere che il suo non è altro che il contenuto originariamente prodotto e producentesi nell’ambito dello spirito vivente, contenuto fattosi mondo, mondo esterno e mondo interno della coscienza – che il suo contenuto è la realtà effettuale. La coscienza prima di questo contenuto la chiamiamo esperienza».

[61]Enciclopedia, § 7, Annotazione (W 8, 48).

[62]Enciclopedia, § 12, Annotazione (W 8, 56-57); sulla filosofia come «risultato», cfr. ivi, § 17 (W 8, 62). Cfr. A. Nuzzo, Sistema, in Filosofia classica tedesca: le parole chiave, a cura di L. Illetterati e P. Giuspoli, cit., p. 53: «L’idea di sistema sostituisce, già nel 1807, l’assoluto intuitivo, posto all’inizio della filosofia».

[63]Enciclopedia, § 7 (W 8, 49). La divaricazione semantica fra i termini scientia e philosophia, sinonimi fino a tutto il XVII secolo, ha inizio nel Settecento e segna un cospicuo avanzamento proprio con Hegel.

[64]Enciclopedia, § 2 (W 8, 40).

[65]Le scienze naturali si occupano «della conoscenza della misura certa e dell’universale nel mare delle singolarità empiriche», e mirano a ricavare «il necessario delle leggi nell’apparente disordine della massa infinita del contingente»: cfr. Enciclopedia, § 7 (W 8, 48); esse pertanto convertono le singole percezioni (die einzelne Wahrnemungen) in esperienza autentica (Erfahrung): «[…] l’empirismo [der Empirismus: le scienze empiriche] eleva il contenuto che appartiene alla percezione, al sentimento e all’intuizione alla forma di rappresentazioni, proposizioni e leggi universali»: cfr. Enciclopedia, § 38 (W 8, 107). Si veda M.J. Inwood, Hegel, cit., pp. 47-48.

[66]Enciclopedia, § 9, Annotazione (W 8, 51-52): «Il rapporto della scienza speculativa con le altre scienze si risolve quindi nel solo fatto che quella non lascia affatto in disparte il contenuto empirico di queste, ma lo riconosce e lo impiega, e, allo stesso modo, riconosce e applica al proprio contenuto l’universale di queste scienze, le leggi, i generi ecc., ma, ancor di più, introduce e valorizza anche altre categorie, oltre a queste. La distinzione si riferisce quindi solamente a questo cambiamento di categorie. La logica speculativa contiene la logica e la metafisica precedenti, conserva le stesse forme di pensiero, le stesse leggi e gli stessi oggetti, ma, al tempo stesso, li elabora ulteriormente e li trasforma con altre categorie». Cfr. L. Illetterati, P. Giuspoli, G. Mendola, Hegel, Carocci, Roma 2015[2010], pp. 113-117; e A. Gambarotto, S. Poggi, Scienza, in Filosofia classica tedesca: le parole chiave, a cura di L. Illetterati e P. Giuspoli, cit., pp. 64-66.

[67]Enciclopedia, § 16, Annotazione (W 8, 60).

[68]Enciclopedia, § 17 (W 8, 62): «[…] il punto di vista che appare immediato, all’interno della scienza deve farsi risultato, e anzi suo risultato ultimo, nel quale essa raggiunge di nuovo il proprio inizio e fa ritorno in sé. In questo modo la filosofia si mostra come un circolo che fa ritorno in sé, che non ha alcun inizio nel senso delle altre scienze […]».

[69]È lo stesso Hegel a ricorrere all’analogia con il movimento della terra attorno al sole, laddove già agli esordi della sua carriera filosofica pone l’accento (in polemica soprattutto con Reinhold) sull’intrinseca circolarità e sull’autofondazione del sapere filosofico: «Come totalità oggettiva il sapere si fonda sempre di più nella misura in cui più si forma, e le sue parti sono fondate solo contemporaneamente a questo intero delle conoscenze. Centro e circonferenza sono in rapporto reciproco in modo che il primo inizio della circonferenza è già in rapporto al centro, e questo non è un centro completo se non sono stati completati tutti i suoi rapporti, l’intera circonferenza – si tratta di un intero che non ha bisogno di un particolare strumento del motivare, così che la terra non ha bisogno di un particolare strumento per essere afferrata dalla forza che la conduce attorno al sole e che contemporaneamente la mantiene in tutta la vivente molteplicità delle sue figure» (cfr. Differenza, p. 101; W 2, 121, parzialmente già citato supra n. 14). Cfr. T. Rockmore, German Idealism as Constructivism, cit., pp. 101-104. Il medesimo aspetto era già stato posto in evidenza da Id., Hegel, Reinhold e la rivoluzione copernicana, in L’esordio pubblico di Hegel. Per il bicentenario della ‘Differenzschrift’, a cura di M. Cingoli, Guerini e Associati, Milano 2004, p. 57: «[…] Hegel inventa una nuova strategia epistemologica indipendente da una fondazione. Secondo Hegel il processo epistemologico si legittima […] a mano a mano che la teoria si sviluppa».

[70]Scienza della logica, p. 41 (W 5, 54). Dove l’espressione però non è intesa in senso negativo.

[71]Enciclopedia, § 79 (W 8, 167).

[72]Enciclopedia, § 17 (W 8, 62). Sulla Ur-Teil (o Ur-Teilung) cfr. anche Scienza della logica, p. 43 (W 5, 55).

[73]Enciclopedia, § 18 (W 8, 62-63).

[74]Per una lettura creazionistica dello schema cfr. M J. Inwood, Hegel, cit., pp. 1-2 e, più articolatamente, pp. 351-352 e passim. Fra coloro che rilevano nel pensiero di Hegel una netta impronta mistica, o ermetica (sulla scia dell’indagine avviata tempo fa da Eric Voegelin), cfr. G.A. Magee, Hegel and the Hermetic Tradition, Cornell University Press, Ithaca 2008[2001], pp. 123-178. Sull’emanazionismo di Proclo quale fonte remota («reminiscenza», suggerisce R. Bodei, La civetta e la talpa, cit, p. 148 n. 82) dello schema triadico dell’Enciclopedia cfr. W. Beierwaltes, Platonismus und Idealismus, Klostermann, Frankfurt a. M. 1972, p. 177 (trad. it. a cura di E. Marmiroli, Platonismo e idealismo, il Mulino, Bologna 1987, p. 190). «Emanazionista» può senz’altro definirsi anche l’interpretazione proposta da C. Taylor, Hegel, Cambridge University Press, Cambridge 1975 (cfr. pp. 366; 544-545 e passim). Sull’inammissibilità sia del modello interpretativo emanazionistico, sia di quello creazionistico si veda, da ultimo, A. Ferrarin, Il pensare e l’io, cit., p. 95.

[75] «Le cose devono d’ora in poi cominciare laddove cessa il pensare puro. In che modo poi esse comincino, perché nello squisito, solitario In-sé logico debba irrompere all’improvviso tale fracasso esterno, rimane certo un mistero [ein Rätsel]. […] Dal quieto mondo della logica deve ora scaturire una situazione in cui le pietre cadono, gli stomaci digeriscono, gli uomini si ammazzano»: E. Bloch, Subiect-Obiect. Erläuterungen zu Hegel, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1962 [1951], p. 196 (trad. it. a cura di R. Bodei, Soggetto-oggetto. Commento a Hegel, il Mulino, Bologna 1975, p. 208). Si veda anche V. Verra, Introduzione, in G.W.F. Hegel, Filosofia della natura, Utet, Torino 2002, p. 20: «Il passaggio dalla logica alla filosofia della natura è […] incardinato su quella decisione dell’idea di licenziarsi liberamente da sé e porsi come esteriorità, che è tutt’altro che facile da interpretare»; la «decisione» è quella di Enciclopedia § 244 (l’ultimo paragrafo della logica), dove si legge che l’idea «si decide (entschließt sich) a lasciare uscire liberamente da sé (frei aus sich zu entlassen) il momento della sua particolarità […] come natura» (W 8, 392).

[76]G. Rensi, Hegel ovvero l’esistenza di Dio, Castelvecchi, Roma 2016, p. 29. Il saggio di Rensi apparve originariamente come prefazione a J.G. Hibben, Hegel’s Logic: An Essay in Interpretation, C. Scribner’s Sons, New York 1902 (trad. a cura di G. Rensi, La logica di Hegel, Bocca, Torino 1910).

[77]Come è noto, i §§ 574-577 (W 10, 392-393) sono tra i più oscuri dell’Enciclopedia, e si sono prestati a svariate interpretazioni, per una sintesi delle quali si rinvia a R. Bodei, La civetta e la talpa, cit., pp. 353-359.

[78]Cfr. G. Leopardi, Paralipomeni della Batracomiomachia, I, 17 (in Id., Poesie e prose, a cura di M. A. Rigoni, Mondadori, Milano 1996[1987], I, p. 211); e Zibaldone 29-30 agosto 1822, [2616-2618] (in Id., Zibaldone, a cura di R. Damiani, Mondadori, Milano 1997, II, pp. 1667-1668).

[79]Tra le reazioni più sdegnate alle «scandalose» novità romantiche si possono ricordare, per la letteratura, quella di Vincenzo Monti nel suo Sermone (1825): «Audace scuola boreal», che «di spaventi ha pieno/delle Muse il bel regno» (in Poesie di V. Monti, a cura di G. Zaccagnini, Vallardi, Milano s.d., p. 79); per la pittura, la simpatetica ma non meno turbata reazione di Heinrich von Kleist di fronte a Monaco in riva al mare (1810) di Caspar D. Friedrich: «il dipinto è simile all’Apocalisse» (cit. in H. Boersch-Supan, L’opera completa di Friedrich, Rizzoli, Milano 1976, p. 12); per la musica, infine, l’invettiva contro i «romantici del diavolo» del celebre cantante lirico e direttore musicale Johann T. Mosewius, di cui ironicamente riferisce Robert Schumann in un suo scritto del 1839 (in R. Schumann, La musica romantica, a cura di L. Ronga, Einaudi, Torino 1950[1942], p. 149). Per lo stupore «ammirato» di Madame de Staël si veda supra n. 17.

[80]Già prima che Hegel giungesse a Berlino, Schleiermacher aveva affermato di fronte ai membri della prestigiosa Königliche Akademie der Wissentschaften che la cosiddetta «filosofia speculativa» (di Schelling e di Hegel) non era da ritenersi, propriamente, nemmeno una disciplina e, pertanto, che non dovesse affatto insegnarsi all’università: cfr. T. Pinkard, Hegel. A Biography, Cambridge University Press, Cambridge 2000, p. 446. Forti dubbi circa la perspicuità del sistema di Hegel furono espressi anche da parte di chi, come von Humboldt, ne stimava sinceramente le doti umane e intellettuali: cfr. ivi, p. 613; si veda anche K. Rosenkranz, Hegels Leben, Duncker und Humblot, Berlin 1844, p. 347 (trad. it. a cura di R. Bodei, Vita di Hegel, Bompiani, Milano 2012[1966], pp. 889-892).

[81]Cfr. T. Pinkard, Hegel, cit., pp. 564-565.

[82]Nel 1820 si era cominciata a pubblicare la prima traduzione italiana della Critica della ragion pura di Manuel [sic] Kant, a cura di V. Mantovani, presso l’editore P. Bizzoni di Pavia, completata nel 1822 (l’anno a cui risalgono le note dello Zibaldone sopra riportate). Versioni di essa in francese (e anche in latino), unitamente a epitomi e volgarizzazioni del «kantismo» (voce generica, comprensiva anche del pensiero di Fichte e di Schelling), uscite talora dalla penna degli stessi censori cattolici, circolavano in Italia già da qualche tempo. È difficile però stabilire l’effettiva conoscenza che Leopardi avesse, all’epoca, della «filosofia tedesca»; la quale, in ogni caso, pare aver suscitato in lui più diffidenza che apprezzamento, anche dopo che ebbe avuto più occasioni per approfondirne i temi (come all’epoca della redazione della Batracomiomachia): cfr. R. Bodei, Paesaggi sublimi. Gli uomini davanti alla natura selvaggia, Bompiani, Milano, p. 55 n. 1. E si veda, più in generale, I. Tolomio, Kant al tribunale della Chiesa di Roma, in Momenti della ricezione di Kant nell’Ottocento, a cura di G. Micheli, supplemento di «Rivista di storia della filosofia», 61/2006/ 4, pp. 149-163.

[83]La Versöhnung è assunta quale motivo conduttore nell’interpretazione della filosofia hegeliana da parte di C. Taylor, Hegel, cit.(cfr. in particolare le pp. 3-50; e le pp. 539-540).

[84]Cfr. B. Pascal, Frammenti, a cura di E. Balmas, Rizzoli, Milano 2009[1983], p. 275: «L’uomo non è che un giunco, […] ma un giunco che pensa».

[85]G. Leopardi, Zibaldone, cit., p. 1668.

[86]Ibidem.

[87]Cfr. A. Ferrarin, Il pensare e l’io, cit. , p. 26: «Dove altri ravvisano la superficie di semplici fatti nella loro fissa e irrelata estraneità, Hegel, come un visionario del reale, ci vede le forze che li hanno prodotti».

[88]È noto, ed è stato già ricordato, che a Hegel ripugna tutto quel che di filosofico proviene in modo arbitrario «dal cuore, dalla fantasia e dall’intuizione accidentale»; ma è altresì risaputo che egli prende le distanze dal «disprezzato metodo del raziocinare e dedurre del tutto usuale» ai suoi tempi (cfr. Lineamenti, Prefazione, p. 4, W 7, 11). È al secondo genere di critica che si fa qui riferimento e che pare aver soprattutto impressionato Leopardi nel suo giudizio complessivo sulla filosofia tedesca. Che Hegel possa essere considerato un irresolute romantic, addirittura accostabile a Friedrich Schlegel, è una delle tesi «forti» del contributo di F. Rush, Irony and Idealism: Rereading Schlegel, Hegel, and Kierkegaard, Oxford University Press, Oxford 2016. Va infine ricordato che nell’elaborazione di una nuova «mitologia filosofica» (ossia di un mythos idoneo alla sensibilità filosofica dei moderni) era impegnato – almeno a partire dal 1809 – anche il «secondo Schelling», fortemente ispirato dalla poesia della Divina Commedia.

[89]Cfr. E. de Negri, Interpretazione di Hegel, Sansoni, Firenze 1969[1943], p. 24: «Tra lo Hegel e la Grecia […] c’è il senso di una frattura drammatica, così che il restauro potrà avvenire soltanto su basi rinnovate ed entro un circolo metafisico […]. La Grecia ‘reale’ si colloca all’inizio di un processo, al cui termine riappare una Grecia ‘ideale’ che, fatta poi coincidere con questa o con quella nazione moderna, o, addirittura, con la modernità in genere, potrà perfino rinnegare ogni parentela con la sua sorella antica».

[90]Cfr. A. Negri, in G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche, a cura di Id., Laterza, Roma-Bari 1987, p. 277 n. 90; che si allinea ad altri interpreti nel reputare definitivamente acquietato, con il compiersi del sistema nell’ultimo paragrafo dell’Enciclopedia, il «demone del metodo dialettico» (ivi, p. 50).

[91]Aristotele, Metafisica, XII, 7, 1072 b 18-30; Enciclopedia, § 577 (W 10, 394).

[92]I. Kant, Critica della ragion pura, cit., pp. 629-630. La differenza cruciale fra l’idea hegeliana di scienza e quella kantiana è che la prima è pienamente calata nella storia, ne è un prodotto (non casuale) che, a sua volta, va a costituire il sistema del sapere nel tempo; laddove la seconda si mostra invece completamente avulsa dal divenire storico. Kant (che, com’è noto, escluse categoricamente la possibilità di una futura scienza dei viventi o, come poi venne denominata, «biologia»: cfr. Critica del giudizio, trad. a cura di A. Gargiulo rivista da V. Verra, Laterza, Roma-Bari 1995[1906], p. 220), non avrebbe mai potuto ipotizzare una fisica postnewtoniana, o una geometria non euclidea – Hegel sì.

[93]Così invece ritiene, fra gli altri, S. Givone, Il bibliotecario di Leibniz, Einaudi, Torino 2005, p. VIII, sino ad affermare che la storia, per Hegel, è «imprigionata nella rete del concetto, catturata dalla necessità, infilzata allo spiedo dell’eterno, che ruota su se stesso» (ivi, p. 11). Ma quale Wirklichkeit si darebbe, in tal modo? E, soprattutto, perché dovrebbe darsi, se non ulteriormente per divenire? A che pro il sapersi dell’essere, se non sempre mediato, umano e storico? La storicizzazione del vero nulla sottrae alla sua «adamantina» verità, ma ne è una dimensione altrettanto essenziale, irrinunciabile. Non c’è sapere che non sia saputo, che non sia cioè Geist, «cultura». E la cultura diviene, è «divenir vero del vero»: cfr. D. Fusaro, Un titano in lotta per l’umanità. Fichte e la missione dell’intellettuale, in J.G. Fichte, Missione del dotto, a cura di D. Fusaro, Bompiani, Milano 2013, p. 53. L’alternativa (platonizzante) è quella di ammettere un universale ante rem, un assoluto metastorico – ma Hegel pare davvero aver voluto ibridare metafisica e storia. Il plērōma, insomma, non pare proprio nozione hegeliana, lo spirito essendo destinato a un progressivo e illimitato perfezionamento.

[94]Enciclopedia, § 13 (W 8, 57).

[95]Cfr. G.W.F. Hegel, Filosofia della storia universale, secondo il corso tenuto nel semestre invernale 1822-23, trad.it. di S. Dellavalle, Einaudi, Torino 2001[1996], p. 113: «L’alba dello spirito è in Oriente, nel momento del suo inizio. Lo spirito è <però> solo il suo tramonto». La Weltgeschichte di Hegel non si conclude geostoricamente con il trionfo della civiltà europea nell’età della Restaurazione, ma guarda all’America, al «paese del futuro» (das Land der Zukunft), il quale dovrà «distaccarsi dal terreno sul quale si è svolta fino ad oggi la storia universale» per poter affermare il proprio, autonomo ruolo: cfr. R. Bodei, La civetta e la talpa, cit., pp. 114-115. Sul celebre paragone della filosofia alla «nottola di Minerva» di Lineamenti, Prefazione, p. 17 (W 7, 27), probabilmente ispirato da Metafisica II, 1, 993 b -9-11, cfr. R. Bodei, ivi, pp. 21-48.

[96]La modestia di questo lavoro non consente alcuna dedica, ma solo i ringraziamenti più sinceri a Paola Amarelli, Rino Bernasconi e Ivano Bianchini per l’aiuto e i consigli ricevuti. Un ringraziamento particolare anche al referee n. 1 (anonimo, come gli altri invitati dall’Editore a esprimere una valutazione sul presente contributo) per la pertinenza e l’utilità di alcuni suoi rilievi.

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