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Book Review: Gianluca Garelli, “Dialettica e interpretazione. Studi su Hegel e la metodica del comprendere” (Alessandro Esposito)

Proponiamo la recensione del testo di Gianluca Garelli, Dialettica e interpretazione. Studi su Hegel e la metodica del comprendere, scritta da Alessandro Esposito e apparsa sull’ultimo numero di Universa. Recensioni filosofia (Anno 5, Vol. 2 – 2016). Il testo PDF della recensione è disponibile qui.


Gianluca Garelli, Dialettica e interpretazione. Studi su Hegel e la metodica del comprendere, Pendragon, 2015, pp. 309, € 20.00, ISBN 9788865986301


Alessandro Esposito, Università degli Studi di Padova

 

L’ermeneutica ha goduto fino a vent’anni fa di una posizione di primo piano all’interno del dibattito filosofico. Con Verità e metodo di Gadamer essa ha cercato di presentarsi come una scienza in grado di affermare la propria autorità a partire dalla costruzione di una teoria generale dell’interpretazione. Il punto d’avvio dell’ultimo libro di Gianluca Garelli Dialettica e interpretazione. Studi su Hegel e la metodica del comprendere, pubblicato da Pendragon nel 2015, è proprio il tentativo di proporre una nuova visione del lavoro ermeneutico, che trovi le sue radici nella proposta hegeliana della Fenomenologia dello spirito.

Per “ermeneutica dialettica” l’A. non intende una teoria generale dell’interpretazione, ma una “pratica critica e riflessiva” (p.7). Essa deve mostrare come l’attività stessa del filosofare sia intrinsecamente dialettica, ma, nel far ciò, non può esimersi dal confronto con la rappresentazione figurale del concetto. Il lavoro di Garelli si presenta allora come un lavoro di estetica, che, attraverso una raccolta di vari contributi dello stesso A., cerca di mostrare come la dialettica, e nello specifico quella hegeliana, si esplichi all’interno di singole figure del pensiero, sino a giungere alla sua coincidenza con il lavoro ermeneutico.

I primi tre capitoli del libro hanno una radice comune. L’intenzione dell’A. sembra infatti quella di mettere immediatamente in chiaro le caratteristiche basilari perché la dialettica hegeliana possa porsi come riconciliazione degli opposti. Nel primo capitolo la nozione al centro dell’analisi di Garelli è quella di “esperienza” (Erfahrung), legata imprescindibilmente con la questione, posta come fondamentale da Heidegger, del cominciamento del processo fenomenologico. Per questo motivo, sebbene l’assoluto sia presente sin dall’inizio del percorso della Fenomenologia dello spirito, la sua realizzazione non è data per scontata, ma deve affrontare la faticosa via del dubbio, essere sottoposta a quello che l’A. chiama uno “scetticismo automaturante” (p.36).

Nel secondo capitolo l’analisi del concetto di “riconciliazione” (Versöhnung) è l’occasione per evocare il bisogno di una critica alla staticità della nozione di “legge”. Nell’ottica dello Hegel di Lo spirito del cristianesimo e il suo destino “la predicazione di Gesù si configura […] appunto come esplicita negazione del legalismo” (p.42), rendendo così possibile la riconciliazione. Quest’ultima si sviluppa però attraverso una doppia azione. Da una parte, il soggetto colpevole si sottopone al rischio ammettendo la propria responsabilità; dall’altra, è posto l’atto del perdono “che consiste sempre in un gesto rischioso, esposto com’è al pericolo del fallimento” (p.51), portavoce quindi del senso profondo della dinamica dialettica.

Il terzo capitolo riparte proprio da una distanza insormontabile tra i termini dell’opposizione. Per decifrare la famosa proposizione hegeliana “il vero è il tutto” è necessario che il tutto sia compreso nel suo sviluppo dialettico a partire dalla coscienza finita. Sulla scorta di una tradizione interpretativa che prende le mosse dai lavori di Jean Hyppolite e Jean Wahl, l’A. vede nella “coscienza infelice” l’esempio della scissione che caratterizza la coscienza nella Fenomenologia dello spirito. La lacerazione che pervade il soggetto finito può essere superata solo nella misura in cui la sua distanza da Dio, in quanto essenza immutabile, si fluidifichi in un processo linguistico di mediazione dialettica. La Chiesa cristiana, in quanto depositaria del Verbum, è allora il “ministro mediatore” (p.92), capace di istituire la dimensione storica dello spirito.

La sensibilità mostrata dall’A. sino a questo momento per gli aspetti teologici del pensiero hegeliano è giustificata nella misura in cui tali aspetti portano a rappresentazione il senso più profondo della dialettica dei termini. Il quarto capitolo sposta invece il punto dell’argomentazione verso temi più specificatamente estetici. L’esperienza dolorosa che la coscienza ha affrontato nei capitoli precedenti viene riletta alla luce della figura fenomenologica dell’Antigone sofoclea e in rapporto al genere letterario della tragedia. La forza dell’analisi di Garelli risiede nella capacità di andare oltre le classiche letture della “bella eticità”, presentata da Hegel nella Fenomenologia. Sebbene il mondo etico dell’antichità classica, basato sull’immediatezza e sulla naturalità, mostri tutta la sua rigidità e staticità, “la scissione tragica della bella eticità ha piuttosto la funzione di spiegare l’origine culturale di un movimento dello spirito” (p.120), che condurrà alla definizione del soggetto moderno.

Proprio in una prospettiva di strutturazione della soggettività moderna va letto il successivo contributo. L’A., nel quinto capitolo, conduce infatti un’interessante rivalutazione del ruolo, a suo dire nevralgico, della commedia nel pensiero hegeliano. A partire dalla “caduta della maschera” nella commedia aristofanea, l’individuo ha trasposto quella che era la scissione tra attore e personaggio nella tragedia all’interno della sua stessa coscienza. Attraverso la comicità del “riso”, esso si è fatto diretto portavoce di una realtà storica, libera dalla rappresentazione della divinità, ma condizionata da un’incolmabile lontananza da quest’ultima. In questo senso, è sensato il riferimento di Garelli ancora una volta al pensiero hegeliano, poiché “in quanto negazione, la commedia antica prepara per Hegel il cuore dell’uomo per qualcosa di nuovo” (p.160).

Con alle spalle la riflessione estetica dei due capitoli precedenti sul tragico e sul comico, l’analisi del concetto di “sublime” nel sesto capitolo assume un significato particolare. Garelli cerca di esplicitare i punti fondamentali della riproposizione di questo concetto da parte dell’estetica contemporanea e postmoderna – i riferimenti sono nello specifico a Jean-François Lyotard e agli Yale Critics –, mettendone in risalto le insufficienze. Servendosi della critica hegeliana al concetto di sublime kantiano l’A. mostra come l’eccedenza dell’infinito nei confronti del finito istituisca una forma di relazionalità improduttiva. La “cattiva infinità” del “porre per togliere” porta infatti alla costituzione di una soggettività “bulimica e ipertrofica” (p.173).

Il capitolo successivo non abbandona il riferimento a un confronto tra Kant e Hegel. La “teleologia” diventa infatti occasione per esporre da un punto di vista nuovo le caratteristiche del procedere dialettico. La critica alla razionalità strumentale kantiana va di pari passo con “il transito attraverso la soglia teleologica e la sua Aufhebung”. Tale transito è necessario per dimostrare che “il pensiero non appartiene a un soggetto meramente calcolante, né questi può ridurre il reale a oggetto in tutto e per tutto disponibile, manipolabile […] facendo della particolarità dei propri scopi il telos assoluto della realtà” (p.193).

Nell’ottavo capitolo l’A. sposta nuovamente l’attenzione sul concetto di tragico. Questa volta il punto di riferimento è il Saggio sul tragico di Peter Szondi. L’opera d’arte deve essere compresa nella sua caratterizzazione storica. Per questo motivo estetica e filosofia della storia sono strumenti fondamentali per il critico che voglia studiare il fondamento del movimento dialettico del tragico. La dialettica è però in questo caso una dialettica della coscienza; essa si esprime in quanto momento della tragicità solo nell’atto stesso del levarsi della rappresentazione, determinando il carattere passato del tragico e della stessa opera d’arte.

La questione del carattere passato dell’arte si lega con la nozione di classicismo in Hegel. Nel nono capitolo, Garelli analizza allora come Szondi trovi nella filosofia hegeliana, e nello specifico nell’Estetica, un’esemplare argomentazione della necessità di legare la nozione di bello, e più in generale l’arte, alle determinazioni storico-dialettiche che la compongono. L’hegelismo di Szondi coincide quindi con l’assunzione di un punto di vista dialettico, in nome dell’abbandono di ogni pretesa normativa in estetica. In relazione a ciò “per un buon pensatore dialettico, infatti, il classico […] ha proprio il merito di scardinare ogni dottrina normativa” (p.241).

È proprio attraverso lo studio del pensiero di Peter Szondi che Garelli trova la via maestra per declinare il movimento dialettico hegeliano, sino a questo punto esposto nelle sue più svariate applicazioni estetiche, in termini di una pratica ermeneutica. Nel decimo capitolo l’A. analizza quindi le caratteristiche proprie della proposta szondiana. L’ermeneutica si configura come un’attività che deve tenere necessariamente conto della storicità dell’opera d’arte in quanto “dato attuale” (p.258). Essa non può insomma determinare un punto di vista oggettivo sull’opera, ma deve continuamente confrontarsi in modo dialettico con essa.

Il discorso di Garelli, teso a una difesa dell’ermeneutica come pratica, continua nel penultimo capitolo del libro, dedicato al pensiero di Wolfgang Wieland. L’importanza delle riflessioni espresse da quest’ultimo agli occhi dell’A. è data dal suo sostenere fermamente che un’interpretazione non può essere mai definita giusta o sbagliata, ma, al massimo, possibile o non possibile. Al contrario, la forza di un’opera d’arte letteraria è data proprio dalla sua capacità di aprire molteplici strade per l’interpretazione. La prassi ermeneutica per Wieland deve però sempre tener conto delle competenze storiche dell’interprete e, in senso hegeliano, in quanto prassi dialettica, deve calarsi attraverso il suo atto nella “fluidità del reale” (p.278).

Giunti quindi alla fine del percorso, l’ultimo capitolo del libro coglie l’occasione per ricollegare la critica a un metodo unitario e sempre valido per la pratica interpretativa con la spinosa questione riguardante la traduzione. Ancora una volta facendo affidamento su passi hegeliani, Garelli mostra come anche l’atto del tradurre debba essere ricondotto a una sfera prettamente dialettica. La traduzione infatti eccede continuamente la semplice trasposizione della lingua originale. A tal proposito, l’A. parla invece più propriamente di “donazione ontologica” (p.292). Essa esprime la natura di transitorietà del processo traduttivo, attraverso la destituzione della forma proposizionale del giudizio in favore del sillogismo come processo dialettico.

Al termine della lettura del libro il lettore può sicuramente beneficiare di un’ampia panoramica sulle potenzialità dell’applicazione della dialettica hegeliana alla pratica ermeneutica. Ciò non implica affatto una pretesa di presentazione generale del pensiero di Hegel. Al contrario, l’A. si serve solo di alcune opere del filosofo di Stoccarda, ammettendo l’inconciliabilità della sua proposta di una ermeneutica dialettica con l’intero sistema hegeliano. Sebbene inoltre alcune riflessioni non risultino nuove al pubblico che abbia una certa familiarità con la produzione recente dell’A., emerge come il lavoro sia comunque interessante nel suo tentativo di dialogo con la tradizione ermeneutica più nota. Quanto risulta però compromettente per la solidità dell’intera pubblicazione è proprio l’eccessiva varietà dei contribuiti presentati. Sebbene a una lettura attenta non sfugga l’intento alla base dell’intero libro, quest’ultimo risente comunque fortemente della mancanza di organicità. Ciò implica per il lettore un rischio continuo di perdersi nei molteplici cambi di orizzonte argomentativo.

In conclusione, l’ultimo libro di Garelli è sicuramente un’ottima palestra per le ambizioni dell’A. di fondare un’ermeneutica dialettica sulle suggestioni della dialettica hegeliana e sull’insegnamento di Peter Szondi. Egli lascia tuttavia il lettore nell’attesa di una fondazione maggiormente sistematica di questa nuova e interessante pratica interpretativa. Un’attesa, che ci si augura, possa essere presto soddisfatta.

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